Le nostre parole sono spesso prive di significato.
Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle.
Chiamiamo “manomissione” questa operazione di rottura e ricostruzione.
La parola manomissione ha due significati, in apparenza molto diversi.
Nel primo significato essa è sinonimo di alterazione, violazione, danneggiamento. Nel secondo, che discende direttamente dall’antico diritto romano (manomissione era la cerimonia con cui uno schiavo veniva liberato), essa è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione.
La manomissione delle parole include entrambi questi significati: noi facciamo a pezzi le parole (le manomettiamo, nel senso di alterarle, violarle) e poi le rimontiamo (le manomettiamo nel senso di liberarle dai vincoli delle convenzioni verbali e dei non significati).
Solo dopo la manomissione, possiamo usare le nostre parole per raccontare storie.
Ed ecco che il nome di un’azienda, di una realtà lavorativa, può quindi assumere fin da subito anche un ulteriore significato, apparentemente diverso, per così dire “astratto” e morale. Personalmente, credo di aver “manomesso” la parola Spei sin dal primo giorno in cui ho avuto accesso all’ufficio. Il mio pensiero è andato, inconsciamente, o per deformazione professionale (per cultura e passione ho privilegiato gli studi classici), al significato di SPEI nella lingua madre latina.
SPEI infatti è il caso genitivo e dativo (quindi complemento di specificazione e di termine) della parola SPES che ha come significati:
1) speranza, fiducia 2) aspettativa, attesa 3) prospettiva di cose future 4) Spes, la dea Speranza.
Ora, analizzando il mondo del lavoro degli ultimi anni, e facendo riferimento soprattutto ai giovani e meno giovani valorizzati con successo dalla SPEI nel corso del tempo, ho avuto modo di apprendere e condividere l’affermazione che “il mondo del lavoro non è che il terreno in cui si attua la nostra speranza di vita”.
Chi si è lasciato guidare dal metodo di insegnamento SPEI ha saputo guardare con fiducia e speranza al suo futuro, superando un certo scetticismo iniziale: ha dato quindi priorità ALLA FIDUCIA, ALLA SPERANZA di un miglioramento futuro. In una parola: SPEI.
“Accolte con serenità e fiducia all’interno della struttura SPEI, queste persone hanno saputo cambiare il loro destino, credendo che tutto ciò era possibile perché lassù Qualcuno li amava: oggi ognuno di loro guarda spesso lassù, ogni qual volta deve intraprendere una nuova azione nella propria vita.”
Sono queste alcune tra le prime parole che ho letto a proposito delle risorse formate e valorizzate dalla Spei.
Effettivamente, in un tempo in cui spesso si fatica a trovare delle ragioni per sperare, coloro che mettono la propria fiducia nel Dio della Bibbia hanno più che mai il dovere di «rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro» (1 Pietro 3,15). Spetta a loro cogliere ciò che la speranza della fede contiene di specifico, per poter viverlo.
La speranza biblica e cristiana non significa una vita nelle nuvole, il facile sogno di un mondo migliore. Non è una semplice proiezione di quello che vorremmo essere o fare. Questa speranza è una sorgente di forza per vivere in un altro modo, per non seguire i valori di una società fondata sul desiderio di possesso e sulla competizione.
Nella Bibbia, la promessa divina non ci chiede di sederci e attendere passivamente che tutto si realizzi, come per magia. Prima di parlare ad Abramo di una vita in pienezza che gli era offerta, Dio gli disse: «Vattene dal tuo paese e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (Genesi 12,1). Per entrare nella promessa di Dio, Abramo è chiamato a fare della sua vita un pellegrinaggio, a vivere un nuovo inizio.
Così pure, la buona novella della risurrezione non è un modo per distoglierci dai compiti di quaggiù, ma una chiamata a metterci in cammino. «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? … Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura… Voi mi sarete testimoni… fino agli estremi confini della terra» (Atti 1,11; Marco 16,15; Atti 1,8).
Sperare è dunque scoprire dapprima nelle profondità del nostro oggi una Vita che va oltre e che niente può fermare. Ancora, è accogliere questa Vita con un sì di tutto il nostro essere. Gettandoci in questa Vita, siamo portati a porre, qui e ora, in mezzo ai rischi del nostro stare in società, dei segni di un altro avvenire, dei semi di un mondo rinnovato che, al momento opportuno, porteranno il loro frutto.
Ed è così che il nome di un’azienda mi fa aprire gli occhi, mi fa prendere consapevolezza di essere andato incontro alla Speranza, di aver dato la priorità ad una buona aspettativa per il mio futuro: in una parola, SPEI.
Chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario, dichiarava qualcuno ormai un secolo fa.
Ripensare il linguaggio, oggi, significa immaginare una nuova forma di vita.