Caro Faber,
da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.
Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.
E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Quando parlava di De Andrè si commuoveva sempre, mentre con “Bella Ciao”, la canzone dei partigiani, quella che lui amava cantare nelle osterie e nelle feste di paese, aveva un rapporto più battagliero e ironico. Si sentiva partigiano, non solo da un punto di vista storico. Era un partigiano vero, di parte, e come parte aveva scelto di stare con gli ultimi e i reietti del pianeta.
Lui, ultimo profeta degli sbandati e degli emarginati, non aveva scuse davanti al Vangelo. Gesù parla chiaro, diceva spesso. E la sua Comunità di San Benedetto al Porto ne è l’esempio concreto. Non c’è ultimo della terra che non sia passato per le sue braccia e il suo cuore colmo d’amore: trans, malati di mente, disoccupati, tossicodipendenti, senza tetto, carcerati. La feccia dell’umanità, direbbe qualche benpensante, ma benedetta da Dio. E da don Gallo.
Un cristiano tutto di un pezzo. Amante della sua Chiesa, e obbediente in piedi. Si è fatto sentire, eccome, anche dalla gerarchia, la sua voce ha varcato i confini delle sagrestie e del tempio per diventare testata d’angolo di un vangelo che è amore e compassione.
Non si è dato mai per vinto, e ha continuato tenacemente fino all’ultimo a lavorare per i suoi giovani e la sua Comunità, sia a Genova che nel resto del mondo dove aveva saputo gettare i semi dell’accoglienza.
Incontenibile e generoso. Le sue prediche nella messa domenicale dall’altare della piccola chiesa al Porto erano frammenti d’amore e non era difficile trovare tra le panche non credenti assorti e in meditazione. Una volta, ricorda don Gallo, entrò l’ebreo Moni Ovadia e lui lo invitò vicino a lui a recitare il “Pater”, l’antica preghiera delle religioni sorelle.
Ha sorriso di fronte al male della società e alle ingiustizie che essa produce, si è divertito con la speranza che anche i disperati possono cambiare, se vogliono, non solo la loro condizione di vita, ma anche quella del loro paese.
Ora che anche questo ultimo partigiano della giustizia e della pace se ne è andato, rimane la certezza che la lotta contro i poteri e i soprusi, anche quando è impari, è sempre da fare se convinti della bellezza del messaggio evangelico.
Tratto da Don Gallo, l’ultimo profeta – Vatican Insider – 23/05/2013