Proviamo a immaginare un welfare diverso, generativo, dove la capacità degli aiutati diventa motore di sviluppo economico. L’obiettivo è una società solidale che inventa e sviluppa un corrispettivo dei diritti, mentre la cultura liberale e quella social-comunista hanno sviluppato solo i diritti individuali, ma ci vogliono anche quelli sociali. In cambio dell’aiuto si domanda a chi riceve di fare qualcosa per il bene comune, salvaguardandone la dignità e dandole valore economico».
«Questa crisi – premette Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione padovana – trova impreparati gli addetti ai lavori. Tutti continuano a chiedere fondi, come se per curare un tumore si chiedessero cure palliative».
«La quantità – spiega Vecchiato – ammonta alla metà della spesa sanitaria pubblica complessiva. Ma, se con questa diamo lavoro a un milione e 260 mila persone, con i 50 miliardi dell’assistenza sociale diamo lavoro solo a 3-400 mila persone. In proporzione, meno del lavoro generato dalla spesa sanitaria o da quella per l’istruzione.
Siamo rimasti uno dei pochi paesi a credere che per aiutare una persona in difficoltà basti un’erogazione assistenziale e non l’accompagnamento o il sostegno per renderla attiva, come direbbe Amartya Sen».
Spendiamo sei miliardi all’anno in assegni famigliari, nessuno se ne accorge. Eppure la somma è appena più bassa dei sette miliardi di spesa sociale degli oltre 8000 comuni italiani. Sono risorse messe sotto la sabbia, ma potrebbero diventare con la logica generativa un fondo di investimento per servizi alla famiglia generando occupazione. Serve coraggio».
E approcci nuovi.
Tratto da : «Basta assistenzialismo. Il welfare sia educativo» di Paolo Lambruschi – Avvenire.it – 22/02/2014