Questi angeli non annunciano il loro arrivo

Abramo, Abramo”. Rispose: “Eccomi”. E’ Dio che parla: “Prendi il tuo figlio, il tuo diletto che ami, Isacco, e vai nel territorio di Moria, e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”» (22,1-2). La Genesi non fa dire nessuna parola ad Abramo. Dice solo che partì «di buon mattino» (22,3), come era partito di «buon mattino» (21,14) per allontanare Ismaele e Agar nel deserto. Abramo si mise in cammino verso il monte Moria con la stessa fede-fiducia con cui era partito verso la terra promessa. È fedele alla voce e a se stesso chi risponde mettendosi in cammino nelle albe e nelle notti della vita. La fede-fedeltà-fiducia sta nel credere che la voce che ti aveva promesso la felicità può essere la stessa voce che ti richiede il figlio che ti aveva donato. 

Ma chi oggi fa come Abramo?

Rifà il viaggio di Abramo quell’imprenditore, Giulio, che dopo aver creduto nell’azienda di famiglia ereditata dai genitori, quando finalmente l’impresa iniziava a portare frutto e a intravvedere giorni sereni, riceve una richiesta di tangente da pagare per continuare il rapporto con il cliente più importante. Giulio non accetta, e mentre torna da quel colloquio indecente verso casa sa soltanto di avere sentito dentro una voce che gli diceva: «Meglio chiudere l’impresa che diventare corrotto».

Ripercorre la salita muta di Abramo quella barista, Giovanna, che aveva rilevato un locale in centro città, lo aveva liberato dalle slot per amore dei poveri della sua città e dei suoi bambini, perdendo così duemila euro al mese; e ora che con grande fatica il bar sta iniziando a funzionare, ecco che si presenta qualcuno a chiederle il pizzo. Giovanna dice di no, perché una voce le dice: «Meglio il negozio incendiato che perdere l’anima». 

È amica di Abramo anche Anna, una giovane mamma che, riavuta in dono la salute al termine di una lunga ed estenuante cura, alla visita di controllo scopre una recrudescenza della malattia: non si incattivisce con la vita, l’accoglie e torna a casa senza sapere che cosa accadrà su quel monte che l’attende.

In queste autentiche avventure dell’anima e dello spirito, l’angelo arriva, se arriva, solo quando si è fatto tutto senza sapere che sarebbe arrivato. Questi angeli non annunciano il loro arrivo.

Ma Abramo è compagno e alleato anche di tutti coloro ai quali l’angelo non è arrivato: il bambino non si è salvato, l’impresa è fallita, il bar è stato bruciato, la malattia ha vinto. Abramo ci ama con la sua fede forte e docile nel tratto di strada che va dalla tenda di Sara fino all’attimo prima di sentire la voce dell’angelo che ferma il pugnale.

La voce dell’angelo non aggiunge nulla al valore della fede di Abramo, anche se ci svela molto della logica e della natura di Dio. Se Abramo avesse saputo prima dell’angelo, la sua esperienza sarebbe stata una “fiction”, il figlio ridonato non sarebbe stato premio alla sua fede, ma un povero incentivo per partire più spedito di buon mattino.

Chi nella vita ha avuto il dono di “morire” e di “risorgere” almeno una volta, ha imparato che la resurrezione arriva solo se si è saputo morire. 

Mentre viviamo i nostri inverni non sappiamo se e quando arriveranno le primavere. Anche dopo mille resurrezioni, nostre e degli altri, quando si intravvede di nuovo un monte e una salita ci si rimette in cammino “ignoranti” come la prima volta, sapendo soltanto di dover camminare.

Neanche Dio, almeno il Dio biblico, poteva sapere se Abramo sarebbe arrivato fino al termine della salita e avrebbe preparato l’altare: lo ha scoperto, stupendosi e forse commuovendosi, soltanto mentre Abramo impugnava il coltello. È questo stupore che rende ogni attimo della vita irripetibile e unico, e che dà un immenso valore al tempo, alla storia, alla nostre libertà e responsabilità.

Eppure non è stata la logica di Abramo quella sulla quale abbiamo costruito l’Europa, l’Occidente, la modernità, il capitalismo. Il dominio della tecnica, l’utilitarismo economico, i calcoli costi-benefici, sono figli di Ulisse, dei greci e poi dei moderni. Non di Abramo.

Se però il mondo non muore, se le buone imprese e le famiglie continuano a fiorire, è perché anche Abramo è vivo in noi, in tanti, in tutti.

Ci sentiremmo più amati dalla vita e meno soli sui monti Moria dell’esistenza se fossimo più coscienti che siamo figli di Abramo tutte le volte che, ad ogni costo, restiamo fedeli fino alla fine a una voce, a una promessa, a un patto, alla nostra coscienza, alla parte migliore di noi.

 

Liberamente tratto da : “La vera fedeltà è all’inatteso” di Luigino Bruni – da Avvenire.it – 21-04-2014