Erika ha ventisette anni e ha lavorato alla Spei negli ultimi mesi del 2013. Addetta al marketing, aveva il compito era di trovare clienti per lo studio telefonicamente. Un lavoro simile lo aveva già sperimentato qualche anno prima, come impiegata in un call center, con scarsi risultati: affrontava la mansione in modo “meccanico”, di fatto spersonalizzante.
Alla Spei Erika ha sperimentato il dichiarato capovolgimento di valori di mettere Gesù al primo posto, prima del lavoro e dello stesso stipendio. Secondo lei, però, “aspettarsi i soldi dal cielo”, come le veniva suggerito, non è cosa realistica. La fede è un conto, lo stipendio un altro.
Pregare ogni mattina prima di iniziare il lavoro, insieme ai colleghi dello studio, è una cosa bella, anche se “rischia di diventare un’imposizione dell’ambiente. Infatti non sempre una persona ha voglia di pregare, o di farlo insieme ad altri con scadenze precise.” Ad ogni modo, durante i suoi mesi alla Spei, il proprio cammino spirituale è migliorato: quella che era una fede “poco vigorosa” ha potuto misurarsi quotidianamente con le esperienze di altri, in un percorso anche comune di spiritualità. I tempi concreti dedicati alla pratica religiosa sono aumentati fino ad oggi, e ciò è per la propria vita “sicuramente un fatto positivo”.
I mesi in ufficio hanno insegnato ad Erika l’importanza dei rapporti con le altre persone, rapporti che da strettamente lavorativi (con l’implicito rischio di diventare “meccanici”) possono arrivare a “non escludere” diverse modalità, amicizie incluse. Quello che Erika ha vissuto è stato principalmente un cambio di atteggiamento verso l’altro, cliente o non cliente che fosse. Ha potuto sperimentare una “maggiore predisposizione e apertura psicologica”, soprattutto al confronto con la passata esperienza di centralinista.
Essere “gentile a prescindere dalle giornate storte” perché “non si può mai sapere chi sta dall’altra parte del telefono e quali reazioni possa avere”. Nel caso poi che un interlocutore la trattasse con sgarbo, o addirittura durezza, ha imparato a “sorvolare, andare oltre, non rimanerci male”, anche quando si ha a che fare con il maleducato di turno che “sbatte il telefono in faccia”. Dell’esperienza Spei Erika si porta ancora dietro la consapevolezza che qualunque chiusura è percepita dall’altro, chiusure che sono negative in qualunque contesto ci si possa trovare. Una “lezione” che ha imparato e interiorizzato e che spende tuttora nella vita di ogni giorno.
29/07/2014