PERCENTUALI DI MERITO

Nato nel 1958, Giancarlo è sposato e padre di due figli, un maschio e una femmina. Modenese dalla nascita, perito meccanico, ha sempre lavorato alla CNH, di cui la Spei è stata – ed è – un fornitore.

Come sei arrivato alla Spei?

Sono un dipendente della CNH, conobbi Stefano nel 2007 perché lavorava con noi, insieme ad altri colleghi. Col tempo, io e Stefano entrammo in confidenza e diventammo amici. Un giorno scoprimmo pure di frequentare alla domenica la stessa parrocchia, quella del Duomo, con le nostre famiglie. La prima volta che entrai negli uffici della Spei fu in occasione di un rinfresco natalizio, fu Stefano ad invitarmi, e non motivi di lavoro.

Conosci la Spei?

La conosco, e vedendo le persone che vi sono passate in questi ultimi anni, penso di conoscerne anche gli intenti: Pesaresi tenta di “recuperare gente” disoccupata – o comunque con situazioni particolari – reinserendole nel mondo del lavoro.

Conosci anche il “discorso fede” della Spei?

L’ho conosciuto attraverso Stefano, ne parlammo più volte di persona.

“Recuperare gente” non lo fanno in tanti, ma si potrebbe fare anche senza Dio. Secondo te, la Spei può separare la fede dal lavoro?

Io sono una persona che ha fede, una persona praticante – ho cercato di allevare i miei figli in questo modo –  e quindi sono convinto che, nonostante qualcuno dica che si possa fare altrimenti, in realtà, nella pratica, se non sei motivato dalla fede si farebbe un po’ fatica. Se manca questo “retroterra” il discorso può rimanere teoria: nella pratica, la realtà Spei, così com’è, è l’unica che ho conosciuto.

Cos’ha di tanto peculiare?

Pesaresi ha anche rischiato parecchio. È la prima volta che dico quello che sto per dire: forse l’esperienza in CNH ha “bruciato” la Spei: a un certo punto, la mia ditta buttò fuori tutti i “terzi”, tutti gli uffici tecnici esterni. Quando si trattò di ripescarne qualcuno, la Spei venne “bruciata” proprio per il fatto di portare persone non proprio professioniste. È certamente lodevole il fatto di voler “tirar su” una persona, però un conto è farlo in casa propria, un conto in casa d’altri. Ai piani alti si accorgono che certi rendono quel che possono…

I dipendenti Spei lavoravano male?

Si vedeva che erano un pochino meno pronti degli altri, è inutile negarlo. Stefano si dava molto da fare nei lavori più difficili, che teneva per sé – poi arrivò Valentina [Accardi], e con lei ci fu un bel salto di qualità: era ingegnere, davvero una ragazza in gamba, tanto che poi venne assunta da noi. È molto lodevole il discorso che fa la Spei, però i responsabili ci guardano: se prendono uno per fare un certo tipo di lavoro e il lavoro viene fatto “così così”…

I lavori venivano fatti proprio male?

Male no. Però il nostro è un mestiere – come tanti altri – dove è il dettaglio che conta, e non le cose “macro”: se fai uno “smusso” la macchina non si monta. Un po’ di differenza si è vista, ma non dico che la Spei sia fuori dalla media: abbiamo lavorato con altri uffici tecnici, non è che fossero tutte “rose e viole”. Ma si vedeva che i dipendenti Spei erano proprio alla prima esperienza, diventava più difficile lavorarci assieme… Vedendo persone straniere, qualcuno anche già adulto, ci chiedevamo dove Pesaresi andasse a pescare quei lavoratori: imparammo col tempo che cosa faceva al Spei…

I vostri responsabili sapevano da subito con chi avevano a che fare?

Non te lo so dire. Loro valutano i costi e le capacità lavorative degli esterni che vengono ad offrirsi. E ci sono tante motivazioni ad entrare in gioco: forse Pesaresi si presentò con un buon prezzo ed una certa capacità lavorativa, quindi lo presero.

Pesaresi è bravo?

È molto bravo, soprattutto a lavorare con i sistemi. Fu anche uno dei primi a testare nella nostra ditta il disegno tridimensionale, insieme a Valentina. Il lavoro del disegnatore meccanico deve adattarsi ogni volta a seconda della macchina che è da costruire, sia essa un trattore, un’automobile, una pentola: ci sono sempre tempi di “adattamento”, ma Pesaresi è uno che “viaggia”.

Da disegnatore, sei il primo che parla della “non professionalità” dei disegnatori Spei. Contando che la ditta lavora in questo modo dal 2008, secondo te come fa a non chiudere?

È un discorso che mi faceva anche Stefano, lui interpreta qualunque cosa succeda come segno della Provvidenza. Da quel punto di vista è molto positivo, come carattere e come determinazione: un altro avrebbe “dato a mucchio” prima.

Pesaresi può anche essere positivo, ma se non ci sono clienti la ditta chiude.

Sì… Ma lui, nonostante il periodo di crisi, riesce a lavorare lo stesso. Non so poi quantificare quanto sia la percentuale dei suoi meriti personali, e quanto quella dell’aiuto soprannaturale… quello non si misura. È lo stesso discorso che faccio su di me: quest’anno ho subito due interventi ospedalieri molto importanti, uno in testa e l’altro al cuore, e sono andati benissimo, mi hanno “riaggiustato”: sono convinto che ci sia la mano del chirurgo, ma anche quella “del piano di sopra”… su questo non ci piove.

L’“affidamento” è un pilastro della Spei, vale per tutti i dipendenti, che ci credano o meno. Fede e lavoro non sono separati, fanno parte di un unico aspetto, di un unico progetto, e non si può cambiare, perché la ditta sta in piedi così. Hai visto dei “mezzi miracoli”, dei miglioramenti, lavorando con la gente Spei?

Miracoli no, miglioramenti dei dipendenti certo. A volte era lo stesso Stefano a dire che “a quello e a quello” non si potevano assegnare compiti troppo difficili, impegnandosi di persona a seguirli… cose che diceva solo con me: ai responsabili non so che dicesse. Certo se vai a fare discorsi del genere con certi personaggi dei piani alti potrebbe essere anche rischioso: vai a dire a uno che ti paga che rendo al 50%: se non c’è la “componente” di cui dicevamo prima, diventa dura…

24/10/2014