Tania, modenese, quarantadue anni, è consulente aziendale in ambito formativo. Cresciuta in una famiglia adottiva, convive da sette anni col suo ragazzo e non ha figli. Di formazione classica, è laureata in Scienze dell’educazione ed ha lavorato come educatore professionale con carcerati, prostitute e handicappati. Lavora come libera professionista per aziende o enti come il Centro per l’Impiego. Da due mesi ha dato vita ad un’associazione di promozione sociale, la Maske di Modena.
Come sei arrivata alla Spei?
Mi ha cercata Stefano lo scorso settembre. Trovò il mio profilo su Linkedin, qualcosa che avevo scritto l’aveva attirato, così mi chiese il contatto, che gli diedi. Notai che lavorava in uno studio di progettazione meccanica, così pensai inizialmente che volesse propormi un aiuto per la formazione di apprendisti o qualcosa di simile. Considero Linkedin una piattaforma abbastanza professionale: Stefano mi chiese se fosse stato possibile incontrarci perché aveva qualcosa da proporre, così, spinta dalla curiosità, arrivai in ufficio. Non mi aspettavo assolutamente di ascoltare quello di cui mi ha parlato. Ho visto tanti ambienti di aziende piccoline di informatica, ma non pensavo che Stefano mi parlasse di tutto quello che è la Spei.
Al primo appuntamento?
Sì. Abbiamo fatto due chiacchiere in ufficio poi siamo andati nel suo studio.
Com’è stato l’incontro?
Stefano è una persona piacevole. Ho subito percepito la sensazione d’essere entrata in ufficio tecnico “non proprio standard”… Sarà la mia sensibilità di educatore professionale…
Guardando le facce della gente che c’era?
Guardando le facce, sì, ma più che altro guardando le interazioni dei dipendenti con Stefano, il linguaggio non verbale.
Cosa hai notato?
Mi sono resa conto che Stefano spiegava concetti ai suoi dipendenti in modo molto semplice, quasi come un bambino. Credo avesse chiesto ad una persona di tenere in ordine la scrivania, ma non fu la semplice raccomandazione che ti aspetti di sentire da un datore di lavoro, lui disse proprio: «Mi raccomando, passa bene il panno, dopo averlo bagnato…».
Bene, hai notato un atteggiamento di Stefano verso i dipendenti. E viceversa?
Sì, c’era una ragazza che si vedeva che chiedeva il concetto due volte. Ho notato che nella quotidianità vedo modalità di interazioni di lavoro diverse. Questo l’ho riconosciuto subito. La conclusione veloce, nella mia testa, fu che Stefano fosse attento alle persone che hanno bisogno.
E dello studio che dici?
L’ingresso nello studio mi ha lasciata molto perplessa. Allora, ci sono due o tre statue della Madonna con un paio di rosari appoggiati al collo… Io sono credente ma non praticante, non ho nessun problema a vedere rosari in giro, però mi ha fatto un po’ strano che in un ambiente aziendale le statue fossero così evidenti: negli uffici tecnici è più facile trovare dei calendari un po’ osè che dei rosari… Quando il concetto è molto forte mi lascia un po’ perplessa, come in tutte le cose: ci può essere la fede giusta e la fede portata all’esagerazione.
L’hai vissuto?
Sì. Ho un percorso di crescita in famiglia sempre stata credente e praticante. Però quando la cosa diviene troppo “spinta”, troppo “oltre” e quasi maniacale, a me dà da fare.
Parli dei tuoi genitori?
Ho una vita particolare, io sono cresciuta in affido da quando avevo sei anni. Erano “troppo” credenti, troppo scollati dalla realtà. Allora, è vero che la fede è scollamento dalla realtà, però bisogna anche tenere i piedi nella realtà. Bisogna essere coerenti, bisogna dare l’esempio: questo i miei non me l’hanno fatto vedere. Ovviamente non sto parlando della Spei, c’era un pregresso, quello che ho vissuto prima: alla Spei ho visto dei principi sani.
Hai rifiutato la fede?
No, nel mio percorso di vita sono arrivata ad essere credente “a modo mio”, non praticando, perché non mi riconosco in tante scelte che fa la Chiesa, che è fatta di persone umane anche se mi piace molto papa Francesco, come mi piaceva Giovanni Paolo II, perché ammettono di essere uomini, senza mettersi il prosciutto davanti agli occhi: aborto non aborto, persone separate ed altri sofismi. Il luogo di culto è nel proprio cuore. Non mi piace l’esasperazione delle cose… Avevo vissuto un’altra brutta esperienza in una ditta, un ufficio tecnico che sembrava tranquillo, poi vidi nella libreria una fila di volumi di Scientology; quando il titolare mi parlava mi s’era gelato il sangue nelle vene: provavo il fastidio di essere “acchiappata” in qualcos’altro.
Ha provato lo stesso alla Spei?
No no, non mi ha dato assolutamente quella sensazione. Forse un po’ troppo credenti, un po’ “strambi”. Quello che fate è bello, molto difficile ma bello. La cosa che mi ha stupito ad esempio è: perché c’è solo un ufficio tecnico e non dietro la costruzione di una rete di servizi sociali, associazioni di volontariato o altro? Io sono un po’ subdola: preferisco vederne anche dove magari non c’è. Stefano mi ha spiegato come funzionava la Spei, ma non vedevo supporti. Se una cosa è bella va condivisa. La spiegazione che mi ha dato Stefano a proposito della mancanza di rete è stata: «Sai, il diavolo ha varie vesti». È vero, però se la pensiamo così non condividiamo quello che si fa di bello. Gli dissi che avrei anche potuto pensare che tutto quello che fa la Spei è solo una scusa per trovare lavoro, utilizzare il pietismo, anche se non volevo crederlo. E quindi, perché non fare conoscere questa realtà? Io credo moltissimo nella rete.
Lo stiamo facendo con il nostro libro, che portiamo in giro ogni mese. Magari l’idea di pubblicare il libro gliel’hai data proprio tu.
Il vostro messaggio è molto difficile da portare, soprattutto quando parlate di spiritualità. Per questo mi faceva molto strano che non aveste una rete, perché tutto da soli non si può fare.
Stiamo provando a fare rete, far conoscere chi siamo. E stiamo creando una struttura per la formazione. Al vostro colloquio parlaste anche di lavoro?
Parlammo tanto, quasi due ore. Ci siamo molto confrontati. Stefano aveva una proposta per il suo settore commerciale, cercava una figura che potesse coinvolgere le aziende, presentando i ragazzi che avrebbero fatto il lavoro, ma dissi che non ero interessata, perché dallo scorso luglio stavo lavorando alla nascita di un’associazione di promozione sociale, che ha effettivamente aperto il 26 febbraio. Quel giorno ci lasciammo senza promesse né niente. Poi, verso la metà di Novembre, tornai da lui per fargli una controproposta: lavorando per il Centro per l’impiego, m’ero accorta che a molta gente non sapeva neanche accendere un computer, pregiudicandosi il torvamente di un lavoro online. E quindi dissi a Stefano che poteva essere interessante aiutarsi a vicenda: lui aveva un ufficio tecnico ed una disponibilità di postazioni e quindi la possibilità di far crescere delle persone, io avrei avuto persone disoccupate da aiutare gratuitamente: potevamo incrociare domanda e offerta. Nel caso, finito il corso, fosse nato un lavoro per la per quelle persone nella Spei, tanto meglio, il mio compito finiva prima! Stefano fu molto disponibile. Pensava già di fare un account per me sul suo server, ed io ero molto contenta. Era tutto pronto, però il mio capofila non volle andare fino in fondo con il vostro ufficio.
Come mai?
Preferirono fare un corso analogo “in casa”, per questioni esclusivamente di immagine. Dovetti io stessa tornare indietro con Stefano, la mia proposta aveva perso il suo succo, perché doveva essere una cosa volontaria e gratuita: gratuita lo sarebbe rimasta, ma con i “bollini” dell’immagine si rovinava tutto. La mia associazione è aiuta le persone con orientamenti, corsi, percorsi di formazione e inserimento lavorativo… È parallela al mio lavoro, non è fonte di reddito per nessuno (http://www.associazionemaske.org/chi-siamo/statuto-e-atto-costitutivo/). Comunque, secondo me Stefano ci rimase un po’ male che non andammo avanti…
Ricordi cosa incuriosì Stefano del tuo profilo Linkedin?
Assolutamente no, anche perché non ci scrivo cose molto particolari. E anche lui non lo ricordava più, non me l’ha saputo dire.
Il titolo del nostro libro è “Credere nel cambiamento”, a proposito di cambiamenti di vita.
Sì. Stefano mi disse che tutte le persone che passavano dalla Spei hanno avuto un cambiamento, piccolo o grande che sia.
Vale anche per te? Hai fatto un cambiamento o ne hai uno da fare?
Ci ho pensato ma non ho percepito grandi cambiamenti. La mia associazione non è nata da quell’incontro, era già in “prematernità”. Comunque anche a me Stefano ventilò la possibilità di un mio cambiamento. Credo che la vita sia fatta di cambiamenti. Quello di cui parla Stefano è un cambiamento legato soprattutto alla fede.
Ti sei sentita tirata in causa?
No.
Quando lo disse me, mi sentii tirato in causa, e mi spaventai un poco. Avevo intuito che sarebbe potuto succedere qualcosa, ma non ne avevo voglia.
Io non ebbi questa sensazione. Risposi molto scetticamente, della serie «Se ci sarà da cambiare si cambierà».
Cosa pensi della Spei?
È una voce fuori dal coro, soprattutto quando penso che il giovedì fa pregare i dipendenti. Di solito si scinde la vita tra lavoro e dopolavoro. Non sono mica sbagliati i valori che propone.
Dici che la vita è un cambiamento continuo. La tua lo è stata?
Potrei scrivere anch’io un libro… Sono nata da una ragazza madre, ma è morta presto insieme a tutta la mia famiglia. Sono stata due volte in affido, ho cambiato varie scuole da bambina… Tutta una serie di cambiamenti.
La famiglia “molto credente” di cui parlavi era la seconda del tuo affido?
Sì, quella che mi ha preso in affido dai sei anni fino ai ventitre, quando sono uscita di casa. L’ho sempre considerata come “la mia famiglia però sapendo che non ero di quella famiglia”. È un discorso molto delicato quello del’affido e dell’adozione, difficilissimo da raccontare: tratta di emozioni e sentimenti diversi. La mia famiglia mi ha dato comunque tutte le possibilità che potevo, inclusa l’università ed una certa apertura mentale. È stata una vita molto articolata la mia. Il cambiamento ormai non mi spaventa, perché sono abituata così. Forse è anche il mio modo di essere al giorno d’oggi.
Con cambio di famiglie devi aver subito parecchi traumi…
Il cambiamento dipende come viene gestito. Può essere un trauma ma anche un’opportunità.
Come mai sei uscita di casa a ventitre anni?
Perché lavoravo, per avere i miei spazi, era ora. Mi hanno aiutato a comprare l’appartamento, come fosse una famiglia normale, anche se non siamo mai entrati in una relazione affettiva vera e propria.
La fede non ti ha aiutato? Ad esempio la figura materna di Maria…
No… Prendo come concetto che Maria è madre di tutti ma solo come assunto. Non la sento come mia “madre”, neanche quand’ero piccolina.
Ultima domanda. Molte volte, quando uno arriva alla Spei, ha fatto già un piccolo cambiamento. A te è successo qualcosa prima di arrivare?
L’unica cosa è stata l’apertura della mia partita iva. È stata una scelta che ha rispecchiato la mia natura. Ho semplicemente dato forma a quello che ero.
Rincontrerai la Spei?
Sicuramente Stefano mi starà addosso! Quando gli ho parlato della mia nuova associazione, credo gli si siano accese delle lampadine.
Da cosa nascerà cosa…
Perché no!
20/04/2015