Ogni santissimo giorno

«El g’aveva du occ de bun, due occhi da buono, «e infatti il problema di papà era che si fidava di tutti».

Soprattutto di quelli sbagliati, gente che tra una fregatura e l’altra in vent’anni gli ha portato via qualcosa come due miliardi di lire, i risparmi di una carriera che lo aveva visto per undici stagioni chirurgico terzino del Milan a cavallo dei Sessanta, un 2 quando ancora il numero fissava un ruolo: uno scudetto, una Coppa Campioni, due Coppe Coppe, un’Intercontinentale (quella famosa della battaglia con l’Estudiantes a Buenos Aires, ’69, il suo aneddoto prediletto) e zero espulsioni in 278 partite (la ragione per cui Rocco lo adorava).

Mario Angelo Anquilletti detto Anguilla se n’è andato il 9 gennaio del 2015, fermato a 71 anni da un male impossibile da marcare. Dice William, il figlio: «Il funerale lo ha pagato un gruppo di solidarietà veneto, amici. Siamo sul lastrico da tempo, ma dei debiti di papà nel dettaglio sapevamo poco, lui teneva tutto per sé. Due giorni dopo ci siamo accorti che anche la casa era ipotecata».

La villetta bifamiliare con giardino e due box a Bellusco nella quale William vive tuttora insieme al fratello Roberto e alla madre Elsa finisce all’asta. C’è da rifondere un creditore, suppergiù 50mila euro. «Abbiamo provato di tutto, compreso scrivere a Berlusconi. Niente. Poi grazie al cielo ci ha pensato Roberto. Roberto Donadoni. Sì, so che forse preferirebbe restare anonimo ma non m’importa: papà avrebbe voluto così, io lo so».

Ex milanisti, ma anche ex atalantini. Ruoli diversi, caratteri simili, poche parole, molti silenzi, un senso tutto lombardo del dovere. «Mio padre andava pazzo per lui, diceva sempre: quel lì sì che al balùn ghe dà el tu, no el lu». A metterli in contatto, a inizio dicembre, il procuratore Carlo Oggero e l’amico comune Sergio Meroni che con Anguilla ha organizzato ovunque per anni partite benefiche con le vecchie glorie. In una cinquantina di giorni debito e ipoteca vengono estinti. La fine di un incubo, o almeno di quello principale.

«Ora potrò mettere la casa in vendita, con il ricavato restituirò il denaro a Roberto e col resto cercherò di ripartire. Sarà dura ma ci proveremo. Mangiamo con la pensione di reversibilità di mia madre, non più di 600 euro. Ora per fortuna in un vecchio armadio ho trovato qualche cimelio: un paio di scarpe, tre o quattro calzini e una maglia di Swart dell’Ajax, che mio padre marcò nella finale di Madrid. Le sue? Macché, le regalava tutte, non ci pensava. Era un uomo buono, trasparente». Pulito. Abbastanza per soffiare la palla a Mazzola senza toccarlo, troppo per capire chi lo stava raggirando. Prima una clinica odontotecnica a Monza, poi il commercio di metalli, infine le mediazioni immobiliari. Non era roba per lui.

 

Solo un affare gli andò bene, quello dell’autolavaggio Supercar Wash a Città Studi, che poi dovette chiudere perché l’area era passata edificabile. Lo trovavi lì, secchio e straccio in mano, ogni santissimo giorno. Lo passavano a trovare in tanti per farsi raccontare, una volta e un’altra volta ancora, la famosa storia dell’arresto di Combin. E passava sempre anche un certo Enzo, un caro amico milanista che faceva il cardiologo e cantava la storia di un tizio con due occhi da buono.

 

Anquilletti, la fine di un incubo – «Donadoni mi ha salvato la casa» – Il gesto del tecnico del Bologna verso la famiglia dell’ex rossonero.
di Carlos Passerini – www.corriere.it