La “Cura Spei” è una medicina composta da una dose di speranza e una di conoscenza. Un’iniezione, nè più ne meno. Il soggetto riceve quella giusta dose che lo spinge a lasciare dietro di sè il passato che fino ad allora non aveva funzionato.
In nessuna cura la speranza è secondaria. Anzi la realizza, come il lievito fa crescere la pasta. Tutti i fallimenti trovano una ragione alla luce di questa nuova medicina.
Mi direte : “Capisco la conoscenza ma la speranza è poco tangibile, cosa devo mettere dentro esattamente, ovvero di cosa è mai fatta questa speranza?” Rispondo: ci sono tante cose dentro.
C’è della comprensione per chi non è stato mai compreso, l’ascolto per chi non è stato mai ascoltato, l’accoglienza per chi non è stato mai accolto, l’amore per chi non è stato mai amato. La sostanza che tiene unite queste cose in Spei è il lavoro.
E come trovare l’amalgama di queste componenti è un fatto tutte le volte diverso, diverso soggetto per soggetto, caso per caso, a seconda della provenienza geografica, del viaggio percorso e di come è stato percorso, della storia della propria famiglia e della propria storia dentro quella famiglia, delle proprie malattie, delle proprie insufficienze, delle proprie cicatrici; nello stesso modo affidare un lavoro a ciascuno di essi è una ricerca sempre nuova, perchè il soggetto deve adattarvisi , deve riuscire e alla fine deve sentire tutto l’amore di Dio su di sè.
Per esempio, se io dico ad una persona:” Ecco questo è il tuo compito. Se fai tutto bene alla fine avrai la tua ricompensa”, la cosa bella che comunico è solo la seconda, e la persona passerà tutto il tempo ad aspettare la ricompensa sopportando di malavoglia la fatica. Ma se io gli dico “Siediti lì, e guarda chi hai al tuo fianco: non ha una casa, non ha una famiglia, a bene vedere non ha nessuno, come possiamo aiutarlo? “. Il pensiero si rivolge a ciò che il soggetto può fare e cosa può dare, non a cosa potrebbe ricevere in cambio.
E qui avviene qualcosa di imprevedibile, sia per i tempi sia per i modi, perchè prima o dopo si realizza una comunione. E in quella comunione avviene un miracolo. Il soggetto per la prima volta dopo tanto tempo apre il suo cuore e sente davanti a sè il profumo del suo futuro, ricomincia a immaginare, sognare, ritrova un’energia e uscendo dall’ufficio dice al primo che gli chiede del suo lavoro: “Sai ho conosciuto uno che non aveva una casa ma oggi ce l’ha, non aveva una famiglia e oggi ce l’ha, anzi a ben vedere non aveva niente e nessuno ed oggi ha trovato quello di cui aveva bisogno”.
“E tu?”. Chiederà perplesso l’interlocutore. “Io ho conosciuto l’amore di Dio”.