Maria Cecilia è stata per tutta la vita insegnante in una scuola elementare, e da undici anni è in pensione. Vive a Formigine, dove frequenta assiduamente la parrocchia. È sposata, con due figli e tre nipoti. Dal 1992 canta nella Cappella Musicale del Coro del Duomo di Modena, per cui presta servizio di segreteria quotidianamente, come volontaria.
Come ha conosciuto la Spei?
Non ho mai conosciuto la Spei, ne ho sentito parlare all’inizio di quest’anno da mia figlia [Francesca Maletti] che a sua volta ne aveva parlato con [suor Lucia Ardenghi], una salesiana del “Conventino”, le “Figlie di Maria Ausiliatrice” di Formigine. Mia figlia comprò il libro di questa ditta, “Credere nel cambiamento”, nel quale si raccontava di un “signore” che aiutava le persone, accettando tutti quelli che arrivavano da lui. Siccome noi avevamo, e abbiamo tuttora, una persona in famiglia che sta cercando un lavoro, anch’io ne comprai una copia, e cominciai a leggere. Non volevo crederci quando vidi il nome di Stefano Pesaresi, perché lo conoscevo! Anni fa anche lui era entrato nella Cappella del Coro del Duomo di Modena, dove canto da più di vent’anni. Allora gli telefonai subito.
Cosa gli disse?
Gli chiesi se fosse vero che aveva una ditta, e che aiutava le persone. Disse: «Perbacco, sì!». All’inizio pensavo che la Spei accogliesse gente per dargli direttamente del lavoro, invece ho capito che Stefano apre la porta a tutti non per dare lavoro, ma per aiutare le persone a capire sé stessi e quello che vogliono, dove vogliono arrivare.
Quindi gli propose quel suo famigliare?
Sì. Gli spiegai molto brevemente la situazione, e Stefano disse di farsi richiamare.
In che periodo è successo?
Avrà cominciato la scorsa primavera, sicuramente prima dell’estate. Adesso però ha smesso di andare alla Spei…
Ha conosciuto la sua esperienza alla Spei?
Sì, parlando con lui. Mi disse che il primo colloquio fu molto particolare, perché Stefano lo fece parlare tantissimo, facendogli sentire un sacco di musica classica. Dopodiché gli offrì di cominciare ad imparare il disegno meccanico. Così lui cominciò ad andare in ufficio ogni mattina, davanti ad un computer. Non sapeva neanche cosa fosse! Faceva molta fatica, ma ha continuato ad andare…
E poi?
A un certo punto lo ha affiancato un’altra persona, che a a suo direcapiva di computer appena più di lui … Il mio familiare, comunque, ha sempre detto che non se la sentiva di continuare quell’esperienza, perché non ci capiva proprio niente. Aveva realizzato che quello del disegno meccanico non poteva essere uno sbocco reale per la sua situazione.
Quanto tempo è rimasto alla Spei?
Ci è rimasto perlomeno tre mesi…
Le è stato raccontato qualcosa della preghiera in ufficio?
Mi ha detto che c’erano dei momenti di preghiera, ma non ne abbiamo mai parlato oltre.
Come mai? Alla Spei è molto presente…
Non lo so. Ebbe un periodo di spiritualità tanti anni fa, quando venne con noi in un pellegrinaggio a Medjugorje, ma capii che questo era solo un momento di religiosità, dovuto soprattutto a una ragazza che a lui piaceva molto.
La ragazza dunque era credente…
Sì. Lui ha un grande bisogno di trovare uno scopo nella vita, qualcuno che gli vuol bene, e non lo trova. Ma io credo ancora in lui.
Secondo lei il periodo alla Spei ha fatto bene al suo familiare? Si è sbloccato qualcosa nella sua situazione personale?
Sì, gli ha fatto molto bene: prima di tutto perché l’ha aiutato ad uscire di casa, ad uscire dal suo isolamento. Poi ha sicuramente capito che ci sono delle persone che sanno vivere anche per aiutare gli altri. Infine, e soprattutto, secondo me ha capito che deve mettersi in gioco personalmente: può trovare qualcuno che gli da una mano, ma allo stesso tempo deve fare molto personalmente, altrimenti non ce la fa. Non ha trovato il lavoro, né ha guadagnato, ma queste cose basilari le ha capite, ed è importantissimo.
Manderebbe altre persone alla Spei?
Perbacco, sì! Per avere uno sguardo più consapevole verso sé stessi.