ALLE ORIGINI DEL CAMBIAMENTO

Luca è un perito meccanico sui quaranta, sposato da una decina d’anni. Andava a messa ogni domenica, si definiva credente e praticante ma “il suo cuore era ancora duro”. Un giorno viene a sapere che un caro amico ha deciso, trentenne, di farsi battezzare. <<Devi sposarti?>>, gli chiede un po’ sorpreso. <<Ho incontrato Gesù>> gli risponde. Luca rimane sconvolto da quella risposta e comincia un cammino di disponibilità all’ascolto e di pratica della preghiera. Ogni giorno che passa si converte, ogni giorno si affida a Maria. A Stefano racconterà della sua conversione: la storia del cambiamento della Spei è la storia della conversione di Stefano e la storia della conversione di Luca, che di Stefano è amico e con Stefano condivide pensieri, preoccupazioni, gioie e missione della Spei.

 

Come è nata la Spei?

Ho conosciuto Stefano quando la Spei non esisteva ancora. Era la fine del 1996, ai tempi in cui entrambi lavoravamo alla Tetra Pak – io come dipendente, lui come collaboratore esterno. Arrivati a un certo punto, per poter continuare la collaborazione con l’importante colosso svedese – ragioni di ordine burocratico e fiscale – Stefano dovette aprire una società a proprio nome. Nel 2000 nacque la Spei, con la struttura del più classico ufficio tecnico, un titolare e alcuni dipendenti. Lavorammo assieme fino al 2002, anno in cui la Spei terminò la collaborazione con Tetra Pak. Stefano è sempre stato un brillante imprenditore, tra i pionieri dell’utilizzo in Italia del programma Pro/Engineer. Pur non essendo più colleghi, continuavamo a sentirci ogni tanto da amici. Continuò a lavorare sodo come titolare della propria azienda, pensava a far bene sul lavoro, ad ingrandirsi. Insomma, stava facendo soldi. All’epoca, la vita per lui era tutta una questione di rimboccarsi le maniche, credere in se stesso e nelle proprie capacità per arrivare a risultati tangibili, il più ambiziosi possibili. Le cose gli andavano benissimo, fino a quando non arrivò per la Spei un periodo nero: una serie di lavori non pagati e i tradimenti di alcuni dei suoi dipendenti arrivarono a compromettere l’esistenza dell’intera società.

 

Come si salvò?

Era il giugno del 2005. Un giorno incontrai Stefano dopo molto tempo, ero all’oscuro delle difficoltà della sua ditta e gli raccontai per filo e per segno del mio recente viaggio a Medjugorje. Dopo il mio racconto, qualcosa in lui traballò. Stefano si era sempre definito credente, ma credeva come credevo io prima della mia “ri-conversione”: senza sperare, senza la voglia di fidarsi di altre mani, di affidarsi in altre mani. Fatto sta che di lì a poco Stefano si convertì e anche la Spei cominciò a cambiare: sia nelle propria finalità – da “società di profitto” a “società al servizio degli altri” – sia nel proprio modo di operare. Fu un cambio di prospettiva radicale: dalla solitudine alla speranza, dal “riuscirò perché sono capace” al “col tuo aiuto, Maria, faremo molte cose”. Una volta affidata nelle mani di Maria, la ditta smise di affannarsi nella ricerca di nuovi clienti e di nuovi collaboratori, perché la Provvidenza glieli metteva sulla strada. I segni della sua presenza iniziavano pian piano a farsi riconoscere.

 

Che cosa è diventata la Spei dopo essersi affidata a Maria?

La Spei è cambiata radicalmente rispetto a quella che era fino al 2005. Da ufficio tecnico classico è diventata “porto di mare” di persone che sono state fatte incontrare non dal caso e non per caso, ma perché Dio le ha fatte arrivare fin lì. Sono persone con problematiche di diversa natura cui viene data fiducia, una formazione professionale, e a cui vengono poste domande nuove in un cammino di accompagnamento a un cambiamento di prospettiva spirituale. Insomma, la Spei è diventata un “ospedale per la guarigione dell’anima” in cui medicina e dottore sono la stessa persona, Gesù. Un ospedale pubblico, che cura il corpo, per sua natura è in perdita, ma lo Stato gli dà i fondi: alla Spei quel che si cura è l’anima, e la “copertura” viene dalla Provvidenza.

Senza una prospettiva di fede è difficile capire il “come mai” ed il “perché” di una cosa del genere. Parliamoci chiaro, la Spei non è un “luogo facile”: ogni mattino c’è un momento di preghiera comune di affidamento in cui vengono “rimesse in fila le gerarchie”. Si cerca di applicare ogni giorno il primo comandamento: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”. La scelta è sempre la stessa: servire Dio o servire gli dei del mondo, affidarsi a Maria o fare da soli. Mettendosi “al servizio di Maria” la ditta si è trasformata in un luogo di missionarietà in cui il lavoro è il terreno di una esperienza concreta di vita cristiana – un tipo di esperienza radicale – Stefano è disegnatore meccanico, semina ciò che ha ricevuto nel campo di lavoro che gli appartiene, non in un altro: comunque, non è detto che questa esperienza debba necessariamente continuare per sempre e con queste stesse modalità: un giorno, se sarà chiesto, potrebbe anche terminare.

 

Parli della centralità di Gesù in una ditta affidata a Maria. I lavoratori sono tutti cattolici?

No, ci sono anche musulmani, e pure non credenti. Come dicevo, la Spei non è un luogo facile, ma chiunque arriva a bussare viene preso in considerazione, proprio per il fatto che se Maria manda qualcuno sulla strada della ditta significa che c’è un progetto su di lui, un percorso da fare, e che la Spei è chiamata ad essere mezzo per qualcosa. Questo “qualcosa” lo si conosce col tempo, strada facendo: sia da parte di chi arriva, sia da parte di Stefano – solitamente, i nuovi arrivati hanno bisogno di essere spronati nel loro stile di vita, nella loro spiritualità, altri arrivano “di passaggio” per poi trovare lavoro da un’altra parte, come è successo a due ragazze, Alice e Valentina. L’obiettivo è l’autonomia delle persone, sia a livello materiale che – soprattutto – spirituale (“non di solo pane vive l’uomo…”). Molti di coloro che sono passati dalla Spei sono stati in qualche modo toccati – anche se non tutti lo ammettono, o non riescono a farlo.

 

Hai mai lavorato alla Spei?

Non come lavoratore, sono un dipendente Tetra Pak da quasi vent’anni. Sono molto amico di Stefano, ho visto nascere e cambiare la Spei e, in qualche modo, sono un punto di riferimento. Con Stefano parlo spesso di cosa succede alla ditta, ragionando su tutto, soprattutto nei momenti di crisi – è capitato che arrivasse qualcuno a mettere zizzania e inquinare l’ambiente. Alla Spei ho sempre fatto delle chiacchiere, ho dato qualche testimonianza: una volta sono intervenuto in uno dei momenti di preghiera del giovedì, giusto per far vedere agli altri dipendenti che Stefano non era l’unico “folle” in giro per Modena ad affidarsi a Maria [ride, ndr]. Personalmente, mi porto dietro anch’io l’esperienza Spei nella vita quotidiana: qualche lezione sull’utilizzo dei soldi l’ho ricevuta anch’io… Di natura sono abbastanza spendaccione… [ride ancora].

 

È sbagliato dire che la Spei è Stefano Pesaresi?

Penso che adesso siano solo le sue capacità a permettere di portare avanti un discorso del genere – assieme alla Provvidenza. Stefano vorrebbe che qualcun altro prendesse il suo posto, ma penso che, se lui non ci fosse, nessuno sarebbe in grado di portare avanti la missione Spei, perlomeno con lo stesso spirito. Stefano è stato scelto perché probabilmente è l’unico ad avere “le spalle” per sopportare una simile responsabilità. Io non ne sarei capace.