AVEVO PAURA DI NON ESSERE CAPACE

Gabriele ha trentadue anni, barba incolta e scura, viene da un piccolo paese della Puglia con un migliaio di abitanti. Da quasi quindici anni abita a Bologna, dove si trasferì per frequentare l’università. Da due anni convive con Laura, la sua ragazza, e lavora per la Coca Cola, girando ogni giorno l’Emilia con la sua piccola utilitaria a benzina.

 

Come sei arrivato alla Spei?

Arrivai per vie traverse, quasi “da nipote”. Stefano è lo zio di Laura, la mia ragazza, che conobbi durante il servizio civile a Bologna mentre anch’essa frequentava i corsi di Storia all’università. Dopo essermi laureato nel 2008, feci diversi lavori, ma solo uno inerente a ciò per cui avevo studiato: un posto da bibliotecario presso una cooperativa, dove rimasi impiegato due anni. Il posto però era tutt’altro che fisso, anzi, la collaborazione più che saltuaria: andavo a sostituire i colleghi in malattia o in vacanza, orari ultraflessibili, contratti a progetto brevissimi rinnovati di quando in quando. Escludendo i mesi estivi, lavoravo di fatto poche ore a settimana, sabato compresi, e potevo rimanere inattivo anche tre settimane di fila. Ci sono stati mesi in cui portavo a casa al massimo 200 euro.
Dopo due anni di precariato, la cooperativa mi lasciò a casa. Dal 31 dicembre 2011 ero ufficialmente senza lavoro, con un affitto da pagare – vivo a Bologna dal mio primo anno di università. Dal momento che era deleterio, per me, stare inattivo – non solo per ragioni economiche – Laura m’invitò a chiedere un lavoro a suo zio Stefano. Fatto il colloquio, da metà gennaio ero un dipendente Spei, dove lavorai fino al giugno successivo, sei mesi circa. Ero impiegato nel settore marketing della ditta, l’unica mansione che avrebbe potuto svolgere un laureato in storia come me: il mio compito era procacciare nuovi clienti. Telefonavo, se riuscivo fissavo appuntamenti e poi andavo di persona, con o senza Stefano, a parlare dei servizi che la Spei poteva offrire.

 

Come te la sei cavata?

Ero arrivato “a scatola chiusa”, non sapendo nulla del disegno meccanico. Avevo sempre avuto a che fare coi libri e quindi, oltre alla curiosità di lanciarmi in qualcosa di completamente ignoto, avevo paura di non essere capace di svolgere un lavoro del genere. In poco tempo però capii che potevo fare discretamente bene questo compito, lontano “anni luce” da ciò per cui avevo studiato. 
Il primo appuntamento che fissai fu per un’importante ditta di Sasso Marconi. Andai da solo a presentare i servizi offerti dalla Spei, “non sapendone mezza”: al tavolo di quei potenziali clienti ripetevo meccanicamente le poche informazioni tecniche di cui ero venuto sbrigativamente a conoscenza dalle nostre brochures, rispondevo alle domande, e insieme puntavo con “arte dialettica” sul racconto dell’ambiente Spei e delle sue peculiarità umane. Terminato il colloquio, non capivo se ero riuscito a far breccia o meno con le mie parole. Poi, qualche mese dopo, due o tre persone di quella ditta arrivarono a Modena, nei nostri uffici, per parlare di un progetto di lavoro. Eravamo tutti contenti.

 

Trovasti altri clienti?

In quei sei mesi riuscii a portarne di nuovi, alcuni dei quali continuavano a chiamarci per nuove collaborazioni. Questo era per me motivo di orgoglio, soprattutto sapere di aver fatto bene alla Spei, la quale mi aveva dato una possibilità. Stefano stesso era contento dei miei risultati.

 

Che impressione ti ha fatto l’ambiente Spei appena arrivato?

Sapevo che Stefano era molto credente, ma appena entrato rimasi molto colpito da tutte le immagini e madonnine presenti nell’ufficio, che vidi durante il primo colloquio. Anche il contesto era molto particolare: alle prime riunioni di preghiera notai che era pieno di credenti, e l’impatto in me fu forte. Vidi una presenza di fede fortissima in una struttura tanto piccola. Col tempo, giudicai autentico il tipo di esperienza di carità cristiana sperimentato lì dentro: penso alle tante persone, come me, aiutate gratuitamente, o alle esperienze concrete di volontariato fatte dai dipendenti in altre sedi, fuori dall’orario di lavoro.

 

È cambiato qualcosa nella tua vita spirituale?

Provengo da una famiglia molto credente, da bimbo andavo sempre a messa e facevo il chierichetto, anche durante la settimana. Una volta trasferitomi a Bologna dal mio piccolo paesino di Puglia, smisi di frequentare la Chiesa… Alla Spei preghiera e lavoro sono due cose inscindibili, e la mia “parte cattolica”, che sempre c’è stata, ha avuto l’occasione di ravvivarsi. Una volta arrivato, trainato dall’ambiente, ripresi anch’io a pregare: già che ero lì, mi dissi, perché non farlo? Il terreno era fertilissimo. Ricominciai pure ad andare a Messa la domenica – non tutte le domeniche [sorride, ndr] – dopo quindici anni di assenza.

 

E oggi?

Sono sempre stato un tipo riflessivo e meditativo, spirituale ma non confessionale. Tuttora sono molto combattuto se credere in qualcosa di trascendentale o se praticare qualcosa di più simile ad una meditazione, ad esempio quella buddhista – ho iniziato saltuariamente lo scorso anno, con un amico. 
Ho visto comunque che la preghiera cristiana è più forte di una semplice meditazione, in quanto pregando Dio si sente che l’invocazione è fatta ad un’entità soprannaturale – che esista o meno – e non a sé stessi. Comunque, da quando ho terminato i mesi alla Spei, non frequento più la Messa. Non dico che la mia “parte cattolica” sia scomparsa, anzi, è sempre latente e in qualche modo presente. Però devo ancora capire come canalizzarla in una pratica, come farla uscire fuori. Insomma, sono ancora in cammino…

 

Come giudichi in toto la tua esperienza alla Spei?

Lavorare come venditore in un ufficio tecnico è stata per me una scommessa vinta. Prima di iniziare, comunque, non ci avrei puntato molto: avevo sempre pensato che un laureato in storia potesse solamente insegnare la propria materia in una scuola, o stare chiuso in un archivio, in una biblioteca. L’esperienza alla Spei è stata per me uno spartiacque: ero finalmente uscito da quell’“isolamento” cui credevo fosse confinato ogni laureato in storia come me. Ho capito che la preclusione era solamente un fatto mentale che andava superato. Il primo lavoro che trovai dopo la Spei fu proprio un’esperienza di commerciale: vendevo prodotti per la sicurezza sul lavoro – estintori, corsi di sicurezza. Avevo trovato la certezza che non potevo precludermi nulla.  

07/08/2014