Bambine invisibili

Quando, qualche giorno fa, nella Swat Valley pachistana alcuni estremisti islamici hanno sparato alla quattordicenne Malala Yousafzai per punire la sua battaglia in favore dell’istruzione femminile, è stato come se, per una volta, la voce di tante «bambine invisibili» costrette in tutto il mondo a fronteggiare sfide più grandi di loro fosse emersa dal silenzio come un campanello d’allarme per la coscienza collettiva.

Feticidi e infanticidi su base sessuale, emarginazione scolastica e sociale, ma anche matrimoni precocissimi o baby prostituzione sono drammi che non hanno i confini geografici e culturali entro cui saremmo portati a rinchiuderli.

Perché se è vero, ad esempio, che «in India l’uso dell’aborto per la selezione sessuale, anche se illegale dal 1994, sta causando una grave carenza di ragazze» per cui si calcola che «entro il 2030 ci saranno il 20% delle donne in meno rispetto agli uomini», è altrettanto innegabile che le strade dei nostri civilissimi Paesi europei è battuta da schiere di prostitute minorenni.

A raccontarlo è la giornalista Laura Badaracchi, che nel suo libro Nate invisibili (edizioni Paoline) delinea un quadro delle principali forme di discriminazione e abusi che, a terzo millennio inoltrato, continuano a essere subiti dalle bimbe, con accenti più tragici in alcune parti del mondo: dalle ragazzine soldato di varie zone dell’Africa fino alle lavoratrici in miniatura o alle mamme bambine che rappresentano la norma in certe regioni in via di sviluppo.

L’autrice snocciola dati e rapporti su fenomeni che «non sono, purtroppo, residuali o in via d’estinzione» ma tenta anche, attraverso le voci di alcune piccole protagoniste, di «entrare nel cuore dei problemi, per cercare di indagarne le cause, dissotterrando le loro radici profonde e quasi ancestrali».

Leggiamo così storie di abusi e ingiustizie, ma anche tante vicende di riscatto e rinascita, personale o collettiva. Alcune riguardano ragazze-coraggio nascoste, come Meena, nata in un villaggio nepalese con una malformazione alla colonna vertebrale e rifiutata dalla sua famiglia, che con incredibile determinazione si è istruita da autodidatta e oggi è la responsabile di un progetto per i diritti delle donne disabili del suo Paese.

Altre sono personaggi ormai diventati un simbolo di liberazione, come la ex bimba soldato ugandese China Keitetsi, che ha fondato un’associazione per aiutare i ragazzi obbligati a imbracciare le armi, o l’afghana Malalai Joya, che dopo un’infanzia sotto i talebani è entrata, a 25 anni, tra gli scranni del parlamento.

Ma anche i nostri, di parlamenti, sono chiamati ad attivarsi su alcuni fronti urgenti, basti citare i casi di matrimoni forzati, in aumento in Europa: il governo inglese ne stima tra i 5.000 e gli 8.000 all’anno, in Francia si arriva addirittura a parlare di 60 mila vittime l’anno.

E se fenomeni come le nozze combinate o le mutilazioni genitali femminili riguardano le comunità immigrate, i dati allarmanti sulle violenze domestiche ai danni delle italiane sono lì a ricordarci che, nemmeno qui, chi nasce bimba è davvero al sicuro.

 

Tratto da Avvenire.it di Chiara Zappa – In tutto il mondo la lotta silenziosa delle bambine