Oltre il muro di cinta del convento c’era Motijhil con i suoi odori acri e soffocanti, uno degli slum più miserabili della megalopoli indiana, la discarica del mondo. Da lontano suor Teresa poteva sentirne i miasmi che arrivavano fino al suo collegio di lusso, ma non lo conosceva. Era l’altra faccia dell’India, un mondo a parte per lei, almeno fino a quella fatidica sera del 10 settembre 1946, quando avvertì la “seconda chiamata” mentre era in treno diretta a Darjeeling, per gli esercizi spirituali.
Durante quella notte una frase continuò a martellarle nella testa per tutto il viaggio, il grido dolente di Gesù in croce: “Ho sete!”. Un misterioso richiamo che col passare delle ore si fece sempre più chiaro e pressante: lei doveva lasciare il convento per i più poveri dei poveri.
Quel genere di persone che non sono niente, che vivono ai margini di tutto, il mondo dei derelitti che ogni giorno agonizzavano sui marciapiedi di Calcutta, senza neppure la dignità di poter morire in pace.
Suor Teresa lasciò il convento di Entally con cinque rupie in tasca e il sari orlato di azzurro delle indiane più povere, dopo quasi 20 anni trascorsi nella congregazione delle Suore di Loreto. Era il 16 agosto 1948. La piccola Gonxha di Skopje diventava Madre Teresa e iniziava da questo momento la sua corsa da gigante.
Il 7 ottobre 1950 la nuova Congregazione ottiene il suo primo riconoscimento, l’approvazione diocesana. È una ricorrenza mariana, la festa del Rosario, e di certo non è casuale, dal momento che a Maria è dedicata la nuova famiglia religiosa.
L’amore profondo di Madre Teresa per la Madonna aveva salde radici nella sua infanzia, a Skopje, quando mamma Drone, che era molto religiosa, portava sempre i suoi figli (oltre a Gonxha c’erano Lazar e Age) in chiesa e a visitare i poveri, ed ogni sera recitavano insieme il rosario.
“La nostra Società – si legge nel primo capitolo delle Costituzioni – è dedicata al Cuore Immacolato di Maria, Causa della nostra Gioia e Regina del Mondo, perché è nata su sua richiesta e grazie alla sua continua intercessione si è sviluppata e continua a crescere”.
La figura della Vergine ha ispirato lo Statuto delle Missionarie della Carità, al punto che ognuno dei 10 capitoli delle Costituzioni è introdotto da una citazione tratta dai passi mariani dei Vangeli.
La Madonna è detta la prima Missionaria della Carità in ragione della sua visita a Elisabetta, in cui dette prova di ardente carità nel servizio gratuito all’anziana cugina bisognosa di aiuto.
In aggiunta ai tre usuali voti di povertà, castità e obbedienza, ogni Missionaria della Carità ne fa un quarto di “dedito e gratuito servizio ai più poveri tra i poveri”, riconoscendo in Maria l’icona del servizio reso di tutto cuore, della più autentica carità.
(…)La devozione al Cuore Immacolato di Maria è l’altro aspetto del carisma mariano e missionario dell’opera di Madre Teresa, praticato con i mezzi più tradizionali e più semplici: il S. Rosario, pregato ogni giorno e in ogni luogo, persino per la strada; il culto delle feste mariane (la professione religiosa delle sue suore cade sempre in festività della Madonna); la preghiera fiduciosa a Maria affidata anche alle “medagliette miracolose”( Madre Teresa ne regalava in gran quantità alle persone che incontrava); l’imitazione delle virtù della Madre di Dio, in special modo l’umiltà, il silenzio, la profonda carità.
“I thirst” (ho sete), c’è scritto sul crocifisso della Casa Madre e in ogni cappella – in ogni parte del mondo – di ogni casa della famiglia religiosa di Madre Teresa. Questa frase, il grido dolente di Gesù sulla croce che le era rimbombato nel cuore la fatidica sera della “seconda chiamata”, costituisce la chiave della sua spiritualità.
La figura minuta di Madre Teresa, il suo fragile fisico piegato dalla fatica, il suo volto solcato da innumerevoli rughe sono ormai conosciuti in tutto il mondo. Chi l’ha incontrata anche solo una volta, non ha più potuto dimenticarla: la luce del suo sorriso rifletteva la sua immensa carità. Essere guardati da lei, dai suoi occhi profondi, amorevoli, limpidi, dava la curiosa sensazione di essere guardati dagli occhi stessi di Dio.
Il suo messaggio è sempre attuale: che ognuno cerchi la sua Calcutta, presente pure sulle strade del ricco Occidente, nel ritmo frenetico delle nostre città. “Puoi trovare Calcutta in tutto il mondo – lei diceva – , se hai occhi per vedere. Dovunque ci sono i non amati, i non voluti, i non curati, i respinti, i dimenticati”.
Tratto da Santi e Beati.it – Autore: Maria Di Lorenzo