Quando si avvicina la fine della gravidanza, il bambino si prepara sulla portadel grembo modificando la sua posizione in modo da impegnare il capo nel bacino e dare inizio al travaglio del parto.
Similmente la Parola di Dio, al termine dell’anno liturgico, ci prepara all’evento cosmico dell’incarnazione del Signore (l’Avvento) introducendoci in un grandioso travaglio: le immagini usate da Gesù sono “apocalittiche”, ma non dobbiamo temere, anzi: “..egli è vicino, è alle porte,..risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”! (Lc 21,28).
E’ stato scritto, ed è vero, che la sordità è più terribile della cecità, poiché questa separa dalle cose mentre la sordità separa dalle persone, dal momento che blocca la possibilità di comunicare e rinchiude l’uomo nel bunker del silenzio.
Ebbene, la sordità più tragica per una persona, anche se mantenesse un perfetto udito fino a cent’anni, è l’incapacità di comunicare con il Dio che l’ha creata, il Dio dell’amore.
E’ questo il presupposto per capire che “il centro del quadro tracciato da Gesù non è in una catastrofe cosmica, non è nella fine del mondo, quanto piuttosto nella ‘venuta del Figlio dell’uomo’ che è il fine del mondo, cioè la meta verso cui tende la storia per giungere a pienezza” (G. Ravasi).
La nostra vita non è un viaggio verso una meta ignota, passeggeri di un treno inesorabile ai quali è dato di osservare solamente lo scorrere laterale del paesaggio, per scendere infine alla misteriosa stazione dell’”al di là”.
Dice infatti la Scrittura: “In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28). Linguaggio veramente…ostetrico!
Ora, la fine naturale di ogni gravidanza è segnata dal parto, ma il fine della gravidanza non è il parto, bensì quella pienezza di comunione vitale del bambino con sua madre, che dopo il parto non patisce più il limite dell’invisibilità reciproca.
In realtà, sappiamo bene che oggi la mamma incinta può vedere il bambino nel grembo, mediante l’occhio sempre più perfezionato degli strumenti, ma lui deve attendere la nascita per conoscere colei che lo ha generato. E nel mistero dell’insondabile relazione personale della maternità, forse non è ingiustificato pensare che il bambino, a termine, non veda l’ora di vederla con i suoi occhi.
tratto da “La vita alle porte della vita” – XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, 15 novembre 2009 – di padre Angelo del Favero