Con mezz’ora di ritardo

Giovedì mattina mi sono alzato con mezz’ora di ritardo.  Ho fatto colazione al bar poi sono andato in ufficio e sono entrato nella stanza di Maria mentre Alberto era intento a leggere ai ragazzi il Vangelo del giorno.

Il brano sulla meraviglia che prende i discepoli quando si accorgono che Gesù è in mezzo a loro da un gesto che compie improvvisamente e che inequivocabilmente lo identifica come lo spezzare il pane oppure come il suo modo chiamare la Maddalena, la mattina della risurrezione.

Mi viene in mente il gesto dell’indice rivolto verso l’alto da parte di quella donna di cui non riuscivo a vedere il volto,  nascosto da una colonna, due tavoli più in là, la settimana scorsa, mentre io e Paolo cenavamo, parlando di Gesù.

Era rimasto lì quel dito per diversi secondi, impassibile, come a sottolineare che Lui stava ascoltando ed era presente. Noi ci eravamo fermati a guardare e ci guardavamo tra noi, stupiti.

Riparto e devo andare a Pianoro, dove ho un appuntamento alle 10 con il numero uno di una nota azienda metalmeccanica, ad una settimana dalla morte del padre, il fondatore capostipite.

Avevo chiesto io un appuntamento per capire come poteva porseguire la nostra collaborazione, se poteva. In caso contrario sarei stato davvero in diffioltà con i miei ragazzi che stavano portando avanti il progetto. Cosa dico loro? Cosa posso fare? Prego tutto il viaggio, un rosario, come si deve.

Arrivo al posteggio di fronte l’azienda alle 10,30. Mentre procedo verso l’ingresso mi accorgo che ho lasciato in macchina il badge per l’autorizzazione al’accesso. Potrei farne a meno ma non voglio venir meno a quella regolarità che a loro piace.

Vado e torno, forse passano 20 secondi. In quel punto arriva una macchina appena uscita dal parcheggio. È un’Alfa bianca, mi suona per salutarmi. È Giorgio, – lo scrittore di “Credere nel Cambiamento” – che non vedevo ormai da più di un anno e con il quale i rapporti si erano fatti più spigolosi da quando mi aveva comunicato la sua volontà a non stampare più il libro.

Vuole parlarmi, è cordiale, mi annuncia la seconda dolce attesa della moglie, gli dico che sono di fretta, ma lui scende addirittura dalla macchina. Mi chiede come va e mi parla con una certa trepidazione. Ci diamo un appuntamento un giorno della prossima settimana all’ora di pranzo, un giorno da definire, basta che sia.

Quando sta per risalire in auto, mi avverte anche che il suo titolare forse ha bisogno di un’altra risorsa, gliel’ho aveva detto la sera prima. Mi sento bene. Giorgio che vuole parlarmi più un nuovo lavoro.

Entro in azienda finalmente, ma devo aspettare qualche minuto perché il patron è al telefono. 

Quando passo mi siedo e sfilo dalla borsa un giornale della mia città del 23/3 dove si parla delle aree industriali dismesse e abbandonate. Lui ribatte che i luoghi non contano sono le persone che contano. Si riferisce ai nostri ragazzi Gianluca e Pietro sui quali il suo ufficio tecnico non aveva espresso un giudizio positivo.

Non demordo e spiego che dal giorno della mia conversione la mia vita è diventata una missione, quella di portare una luce dove non c’è e – indicando i giornali, dico – lì c’è n’è bisogno. Il progetto iniziale non va abbandonato solo perchè alcuni non sembrano all’altezza. Non bisogna credere nel cambiamento?

Maurizio ammette che pochi giorni dopo il nostro primo incontro 5 mesi fa, aveva rivisto ad una riunione una sua conoscenza di non molti anni fa. Si trattava di Romano Prodi al quale aveva confessato la sua intenzione di iniziare un’attività su Spezia, ma di aver anche saputo come fosse una zona depressa, cosa che io gli avevo in quell’occasione anticipato.

L’ex presidente risponde di non essere mai riuscito a far capire ai suoi in Consiglio quanto in effetti sia depressa, tanto da sembrare quasi peggio di certe zone del meridione.

Concordiamo che bisogna fare qualcosa e forse il significato della mia venuta fino lì tra le montagne è proprio quello. E lui prendendo finalmente il giornale fra le mani mi chiede un po’ di tempo per pensare.

Vado da Gianluca e Pietro che sono ormai al termine dei lavori. Gianluca sbuffa come una ciminiera, è nervoso  perché teme che lo vogliano lasciare a casa. Ha messo molto del suo in quello che fa, ma è una sensazione che conosce.

Il giorno prima avevo chiamato il direttore tecnico con cui Gianluca ha collaborato in una piccola azienda sulla via Emilia, seminascosta tra altre fabbriche.

Dobbiamo essere là per le 13 per incontrarlo. Arriviamo invece alle 13.30. La solita mezz’ora di ritardo che mi porto dietro dalla mattina. Quando arriviamo, l’azienda sembra deserta: saranno andati tutti a pranzo, penso, e mi rammarico per la seconda volta di questa mia mancata puntualità.

Ma appena saliti negli uffici, sul corridoio di ingresso c’è il suo ex capo che ci aspetta con un sorriso largo così.

Poi chiama alcuni colleghi dagli uffici che in realtà avevano aspettato quel momento, avendo saputo che Gianluca sarebbe passato. E così uno dopo l’altro escono tutti dalla loro stanza. “c’è Gianluca, c’è Gianluca”! Si dicono l’un l’altro. C’è anche una ragazza che da in fondo al corridoio spalanca le braccia :” Gianluca fatti abbracciare. “

Lui è tutto rosso, gli si inumidiscono gli occhi. Io invece me li stropiccio: non ho mai visto un’accoglienza così calorosa! 

Passata l’emozione, andiamo a mangiare, in un posto piccolo ma carino poco più avanti verso Bologna. Ci arriviamo quasi alle due. C’è giusto un tavolo per 3 rimasto vuoto. Ordiniamo delle tagliatelle al branzino e patate da fare invidia ai nostri ristoranti della Liguria.

Il suo ex capo svela di essere alla ricerca di un braccio destro che assuma a breve la sua posizione lavorativa perché presto potrebbe passare a fare l’amministratore delegato. Non nasconde il suo desiderio che possa essere Gianluca. Ma vorrebbe parlargli senza di me. Praticamente una dichiarazione.

Sulla parete al nostro fianco ci sono scritte che inneggiano all’amore. Io dico loro che sono lì come il prete quando due si vogliono sposare: servo solo per dare la benedizione. Tra l’altro sono vestito di scuro.

Gianluca è turbato. E rimane così fino alla sera quando andiamo tutti e tre insieme a mangiare con mia nipote al Mercato delle Erbe, in centro a Bologna. Mangiamo, beviamo e ci raccontiamo pieni di gioia questa giornata imprevedibile, incredibile e inaspettata. E quel provvidenziale puntuale ritardo di mezz’ora.

Vado alla cassa a pagare. Su un biglietto da visita lasciato su uno scaffale si legge: “il cambiamento è una porta che si apre solo dall’interno”. (Tom Peters)