Di origini calabresi, Luana Maria Pia abita a Marzaglia dal 1972, quando emigrò con tutta la famiglia per poter curare il fratello, malato di cuore. Porta al collo una sua immagine, in un ciondolo. È alla Spei dal 2010, dopo aver lavorato come impiegata, operaia, donna delle pulizia, ristoratrice in un locale sull’Appennino, vicino Pavullo.
Come sei arrivata alla Spei?
Nel 2010, tramite una ragazza [Maheya] che conoscevo nella ditta di arredamento per uffici in cui lavoravo come impiegata. Quella ditta fallì lasciandoci a piedi da un giorno all’altro. Appena arrivata alla Spei, dopo il colloquio, ho iniziato a lavorare: dapprima nell’ambito marketing poi, pian piano, imparai a fare amministrazione, la mansione che svolgo tuttora.
Come fu il colloquio?
Mi ha chiesto un po’ di me, a grandi linee, compresa la mia vita spirituale. Lui sa che io credo in Dio e che Stefano non è Dio.
Anche lui sa di non essere Dio…
Lo sa ma lo vuole fare… Ho visto cose che fa bene ma anche cose che fa male. Per me dovrebbe tenere separata la gestione dell’azienda dalla spiritualità, sono due cose che non possono andare assieme. Noi siamo uno studio di Ingegneria, ma lui prende della gente che arriva “così”, senza sapere niente di meccanica. Non dico che sia sbagliato, perché aiutare la gente va bene. Però, come azienda, abbiamo bisogno di disegnatori che sappiano disegnare, per poter avere un lavoro e continuare a lavorare.
Però state lavorando.
Sì, abbastanza, stiamo tirando avanti. Finché funziona va bene: molte ditte però chiedono uomini specializzati in programmi che noi non usiamo – se li avessimo lavoreremmo di più, secondo me. E lui lo sa, glielo dico sempre…
Al colloquio ti chiese se eri credente?
Stefano sa che credo in Dio ma non credo nei preti. In Chiesa non ci vado, penso non ci sia bisogno di un’altra persona per parlare con Dio, né per chiederGli scusa. E poi, trovami un prete che sia onesto. Il giudizio lo dà Dio, non lo danno i preti.
Ci parli con Dio?
Se ho da dirgli qualcosa sì. Lui sa tutto della mia vita, tutto quello che mi è successo – la morte di mio fratello, di mio padre, di molti dei miei parenti… Mio fratello era malato da anni. Aveva una malformazione al cuore, doveva sottoporsi ad un’operazione definitiva e forse risolutiva, ma è morto in un incidente stradale, nel 2000. Non guidava lui, ma un suo amico che rimase illeso. Per questo, alcune volte io non credo in niente.
In che senso?
È difficile credere quando succedono certe cose. Poi però mi sono attaccata alla Bibbia, leggendola quasi tutta. Prima ero arrabbiata, anche con Dio: gli chiedevo dov’era la sera dell’incidente, perché si girò da un’altra parte.
Per quanto riguarda la “lezione” sulla Provvidenza della Spei, cosa dici? Tutta la gente che arriva e si incontra nei nostri uffici… È davvero Maria a tirare le fila?
Un’altra domanda? [ride, ndr]. Sicuramente sì… probabilmente. Anche perché se non c’è dietro Lei non so che cos’altro possa esserci dietro.
Ti occupi del bilancio della ditta, fai i conti delle entrate e delle uscite. Hai visto fatti provvidenziali? Molti raccontano di pagamenti o clienti insperati arrivati in extremis.
Sì, è vero. Quando eravamo nel pantano ci siamo sempre “saltati fuori”… Ma in quei momenti ci davamo molto da fare, alcuni colleghi telefonavano continuamente: se vogliamo chiamarla “Provvidenza” possiamo anche farlo, ma senza pressione telefonica il lavoro non sarebbe arrivato… Se si sta fermi ad aspettare senza far niente non può arrivare niente.
Però può essere di fare cento telefonate senza riuscire a fissare neanche un appuntamento.
Sì, può succedere – ricordo che quando sono arrivata era un periodo più buio di questo.
È un periodo duro, questo, per la Spei?
No, al momento il lavoro non manca, abbiamo tre clienti.
Ti senti sicura? Arrivi tranquilla a sera?
Ultimamente no. Come dicevo vedo troppe cose che non vanno bene. Ad esempio come Stefano si comporta con alcune persone. C’è differenza tra quello che dice e quello che fa, non tratta tutti allo stesso modo. E non fa sempre quello che Gesù gli dice di fare, aiutare tutti indistintamente: lui “sceglie” chi aiutare – con lavoro e stipendio.
Ad alcuni lo dà e ad altri no?
Se non c’è lavoro ma una persona è assunta bisogna comunque pagarle lo stipendio…
Ma lui paga…
A modo suo, con permessi non retribuiti. Oppure pagando mezza giornata una persona che sta in ufficio dalla mattina alla sera. Sono cose che mi danno fastidio. Sarebbe meglio licenziarla e poi farle un contratto di quattro ore. Sarebbe più conveniente per l’azienda, anche per questioni fiscali.
E perché fa cosi?
Non lo so. [Mosè] fa otto ore ma al prezzo di quattro. Stefano vuole che uno vada da lui a piangere e a chiedere soldi, però ci sono persone che a quarant’anni hanno anche una dignità.
Parli solo di soldi e di stipendi, alla Spei l’argomento sembra marginale…
E con cosa si vive? Stefano sarebbe contento se nessuno gli chiedesse lo stipendio…
Perché sa che poi arriverebbe…
Siamo sicuri che arriverebbe se nessuno lavora? È giusto che i ragazzi lavorino gratis?
Nessuno lavora gratis, o no?
Nessuno lavora gratis. Lo stipendio arriva a tutti, glielo carico io.
Allora qual è il problema?
Per me non c’è alcun problema. Ce l’ha chi viene da me a dire che non sa come dar da mangiare alla propria figlia. Quando manca il lavoro, ho fatto personalmente sacrifici, ad esempio calando le mie ore in ufficio: negli ultimi mesi, il venerdì non lavoro – e non ho mai detto niente, non mi sono lamentata. Ma non tutti fanno sacrifici alla Spei.
Diminuendo le ore, i soldi vengono redistribuiti tra gli altri dipendenti che non lavorano?
Sì, in qualche modo è così. Ma arriva spesso gente nuova… Ho sempre da “limare di qua e limare di là” per far quadrare i conti. Per me però non ha senso assumere una persona nuova quando ne hai altre quattro ferme in ufficio, che tra l’altro non si riescono a pagare completamente… Non si può assumere una persona e penalizzarne altre. Per ora stiamo in piedi perché qualcuno che lavora c’è.
Si vive alla giornata…
È da quando è morto mio fratello che vivo alla giornata: non sono così certa di alzarmi ogni mattina – ogni giorno faccio quello che riesco a fare: quello che non riesco lo faccio domani.
Nel complesso, sei grata alla Spei? Ci sei attaccata?
Sì, in caso contrario mi sarei licenziata. Bene o male mi trovo bene lì, coi ragazzi e con Stefano.
Se ti arrivasse domani un’altra offerta di lavoro, stessa mansione e stessa paga, accetteresti?
Sì perché, come dicevo, vedo molte cose che non mi piacciono. Non bisogna fare le distinzioni che fa Stefano con le persone, non ha senso. Il mio caso: anche mia sorella [Susanna] lavora alla Spei, e anche lei, assieme a me e mia madre, si occupa a turno di mia zia, che è ferma in ospedale: Stefano ci aveva “obbligato” a dividerci la giornata, io al mattino e lei al pomeriggio in ufficio o viceversa. Con altri dipendenti non avrebbe preteso così.
Per certe esigenze, altre ditte lascerebbero a casa…
In altre ditte potrei prendere le ferie.
Anche tu hai fatto un cammino di affidamento mariano?
Sì. Da quando sono qui sento molto di più il “fatto” di pregare. Ho affidato a Maria i miei problemi, le ho chiesto aiuto: un giorno, due giorni, tre giorni… I problemi rimanevano lì da risolvere. Non mi è apparsa la Madonna – avevamo organizzato un viaggio della Spei a Medjugorje, ma poi è saltato… I problemi li tengo per me: credo in Dio, nella Madonna e in Gesù Cristo – anche se durante i miei lutti sono stata arrabbiata, ma… È la vita, devo sbrigarmela da sola.
In questi anni sei cambiata?
Prima non pregavo, né da sola né assieme ad altri. Faccio sempre almeno una riunione-incontro di preghiera al mese – quando mia zia non era in ospedale c’ero sempre.
Non credo che tu andresti davvero da un’altra parte se ti arrivasse l’offerta…
[sorride].
08/09/2014