Don Giuseppe Verucchi è il vescovo emerito di Ravenna. Nato a Miceno di Pavullo e ordinato sacerdote nel 1961, è stato cappellano a Castelnuovo Rangone per dieci anni, e parroco a Formigine e Fiorano Modenese, oltre a ricoprire il ruolo di vicario generale della Diocesi di Modena dal 1986 al 1997. Nel 2013, dopo tredici anni di servizio, ha rinunciato all’incarico pastorale nel capoluogo romagnolo per sopraggiunti limiti d’età. Ora vive a Modena in un appartamento del Centro Famiglia di Nazareth ed è a disposizione per servizi nelle diocesi di Modena, Ravenna e altre, in particolare per celebrazioni eucaristiche, cresime, incontri, ritiri, esercizi spirituali e pellegrinaggi.
Come e quando ci ha conosciuto?
Quando due genitori mi hanno detto che loro figlio aveva contattato una certa Spei ed era stato accolto, cominciando a lavorare scrivendo un libro di interviste. Ho letto quel libro e sono rimasto incuriosito. Subito non avevo capito cosa fosse la Spei, ero pieno di interrogativi. Per questo ho cominciato ad informarmi, incontrando prima l’autore e poi Stefano Pesaresi, il titolare, fino a visitare l’ufficio Spei. Ho visto che ci sono degli aspetti interessanti.
Quali interrogativi si era posto dopo la lettura del libro?
La Spei è una ditta o una persona di buona volontà che cerca di dar lavoro alle persone? Come mai in tanti si rivolgono a questa ditta? Non avevo mai visto un’azienda che accoglie le persone in un tal modo, per cui volevo chiederne il perché. Poi, quando ho visto che alla Spei si pregava, mi sono chiesto in che senso fosse presente la preghiera. Mi chiedevo in che maniera viveva la ditta: avendo dei dipendenti servono entrate sicure, e per avere delle entrate bisogna avere un lavoro. Mi facevo tutte queste domande e non capivo come funzionasse.
Che risposte ha avuto in merito all’accoglienza delle persone? Perché la Spei non assume solamente il perito o l’ingegnere, ma chiunque è per lei un potenziale dipendente?
Comincio ad avere qualche risposta, che non so se sarà duratura nel tempo. Apprezzo il fatto che il responsabile di una ditta accolga tutte le persone che fanno domanda anche solo per un colloquio, per un incontro, perché mi sembra sia una valorizzazione della persona, al di là di ciò che ha fatto o è capace di fare, o del lavoro che compie. Il rispetto della dignità della persona e l’accoglienza volta ad un aiuto. Questa accoglienza mi sembra un grande valore, con la preoccupazione di aiutare la persona in difficoltà a trovare uno sbocco lavorativo, o all’interno della ditta o da un’altra parte: ciò è assolutamente unico nel campo imprenditoriale. Stefano si preoccupa di ascoltare le persone, capirne i problemi, e di cercare una soluzione agli stessi problemi; normalmente chi seleziona il personale si limita a capire se chi ha davanti ha o meno le qualità per lavorare nella sua azienda, e basta. Alla Spei si ragiona su un piano diverso, molto bello da un punto di vista umano e cristiano. Mi sembra di aver capito che a volte Stefano abbia trovato dei lavori esterni per chi faceva il colloquio.
Raramente. Il più delle volte – e questo è un dato che fa statistica – uno viene a fare il colloquio e nel giro di una settimana trova lavoro da un’altra parte, senza l’intercessione di Stefano. Questo è un dato che vale per molti, anche per chi ha parlato male della Spei.
Quello che dici mi è più chiaro. Conosco solo adesso questo dato statistico. È il caso? Un dono? Una grazia?
Un dono, credo. Un dono che arriva alle persone.
Io rimango con un punto interrogativo.
Un dono o potrebbe essere un “miracolo della Spei”?
Non credo. I miracoli vengono solo da Dio.
Il motivo per cui la gente arriva alla Spei, secondo Stefano, è quello di incontrare Gesù Cristo. Crede che chiunque arrivi da lui non voglia veramente un lavoro, ma incontrare Gesù in qualche modo. È scritto anche nel libro. Può essere che la gente sia davvero “mandata” alla Spei per incontrare Gesù?
È un po’ diversa l’idea che mi son fatto. Chi approda alla Spei e incontra Stefano certamente vive, oltre ad un colloquio umano e lavorativo, una testimonianza di fede. Perché la Spei, oltre a fare disegni meccanici e ricercare clienti, insiste molto sulla testimonianza cristiana, la devozione alla Madonna e la vita di preghiera. Quindi, chi viene certamente incontra una testimonianza viva di fede. Non vedo che le persone arrivano per incontrare il Signore: le persone che vengono lì per i motivi più diversi, soprattutto il lavoro, incontrano comunque una testimonianza di fede. Testimonianza che viene data all’interno di un dialogo che ha come oggetto anche l’aspetto della situazione personale, del curriculum lavorativo e non lavorativo.
È azzardato sostenere, come fa Stefano, che la gente alla Spei è “mandata da Maria”?
Stefano può pensarlo, ma io non credo sia così. C’è gente che pensa che certe cose avvengono in questo modo – che il Signore mandi, che la Madonna mandi. Io, almeno finora, non mi sento di dire una cosa del genere. Una volta si diceva “Non cade foglia che Dio non voglia”. È certo che la nostra vita è guidata da Dio. Bisogna però tenere presente una grande questione teologica: la nostra vita è guidata dal Signore ma noi abbiamo la libertà di scelta. La libertà di accogliere il Signore e di ubbidirgli, e quella di non ascoltare e di non ubbidirgli. Bisogna dunque mettere insieme il Dio provvidente che guida la Storia e l’uomo che ha il dono di scegliere della propria vita. Non è una cosa semplice.
Come mai venne nell’ufficio di Stefano?
Sono venuto per conoscere la realtà dall’interno, perché proprio non capivo se la Spei fosse una fabbrica, una ditta, un ufficio, se c’erano scrivanie, macchinari… Proprio non avevo idea. Il modo migliore per potermene rendere conto era visitare il luogo in cui la Spei opera. Sono venuto anche per partecipare al momento di preghiera del giovedì e vedere come si svolgeva.
Cosa ricorda di quella preghiera?
La recita di una decina del rosario. Ricordo che eravamo in cerchio e ognuno diceva un’Ave Maria.
Che impressione le aveva fatto?
Non è normale in una fabbrica avere momenti di preghiera. Mi sono venuti in mente i ragazzi che prima della scuola si ritrovano in una saletta per recitare le lodi prima delle lezioni; oppure alcuni luoghi di lavoro in cui piccoli gruppi di impiegati o operai, liberamente, si trovano insieme per una preghiera prima di cominciare la giornata; oppure una ditta di Ravenna che negli anni ’60, all’interno di un enorme spazio, aveva costruito una piccola chiesa, pensata all’epoca per il bene delle famiglie dei lavoratori: secondo il titolare, i dipendenti, oltre che di lavoro e stipendio, avevano bisogno anche di un asilo in cui portare i bimbi, e di una vita religiosa: per cui c’erano suore e sacerdoti. Quell’impero crollò, ma la chiesa è rimasta come luogo di preghiera.
Crede che la Spei sia una realtà del genere?
Attualmente penso che per la Spei la vita di fede sia fondante e fondamentale. Credo anche che la fede in Cristo e la devozione a Maria contribuiscano a fare in modo che il lavoro venga visto come valorizzazione della persona, e le persone conosciute nella loro dignità: in questo i dipendenti possono essere aiutati a vivere anche una vita di fede.
La preghiera come lei l’ha vista non è costante. È dallo scorso maggio che non è più l’appuntamento fisso che era a dicembre, quando il libro è stato pubblicato. In questo momento il tempo dedicato alla preghiera è prossimo allo zero.
Questo non lo sapevo. Dico quello che ho visto qualche mese fa.
Le è sembrato che la Spei potesse dar vita a un movimento, oppure ad una setta? Contando le presentazioni dei libri e altro genere di ritrovi, si è mai chiesto dove la Spei volesse arrivare?
Mi son fatto un’idea molto embrionale. L’esperienza della Spei potrebbe svilupparsi e contagiare in positivo tante altre realtà lavorative, altre industrie e industriali. Se passasse l’idea che il guadagno non è l’unico né il principale obiettivo da perseguire, ma che il principale obiettivo sono la persona e la famiglia, vedrei volentieri, in un numero crescente di ditte, l’apertura ad accogliere nel loro organico delle persone non perché rendono bene, ma per aiutarle a recuperare la loro dignità e fiducia in sé. Normalmente si assume solo chi lavora bene e fa guadagnare: il sogno è che nelle ditte ci fosse anche questa ulteriore sensibilità. Se la Spei riuscisse ad allargare ed espandere questa logica all’interno di altre ditte, allora si potrebbe creare una rete di soggetti che collaborano: chi si rivolgesse alla Spei potrebbe davvero essere aiutato concretamente da altri che ne hanno accolto lo scopo. Per esempio, se una ceramica di Sassuolo o di Fiorano fosse sensibile ad un discorso del genere, Stefano potrebbe telefonare e chiedere se tra i suoi cento operai potesse assumere anche una persona bisognosa di aiuto e di fiducia: se l’unico criterio dell’interlocutore è il guadagno, tutto finisce lì; ma se il criterio, oltre che il guadagno, è anche il valore e la dignità della persona, il bene della famiglia, allora si potrebbe accogliere una persona in più.
Una rete di appoggio.
Una rete di appoggio e di collaborazione.
La Spei diventerebbe una specie di agenzia interinale gratuita.
Lo chiamerei “spirito”, logica di fede, amore alla persona, amore alla famiglia. Non serve un ufficio, ma persone che vivano questa logica. Sarebbe un aiuto grande. Cosa può fare Stefano da solo? Se divulgando il libro e le interviste tante ditte ne captassero il messaggio, potrebbero diventare collaboratori di questa logica nuova: non al primo posto il lavoro e il guadagno, ma la persona e la famiglia.
E Gesù cosa c’entra?
C’entra all’inizio, durante e alla fine. Se uno si lascia guidare veramente dal Signore in questa direzione si potrebbe davvero parlare di Dottrina sociale della Chiesa e del Laudato si’ del papa. Lo si può fare per amore di Cristo o anche solo perché si è captato il valore della persona e della famiglia.
Posso dire che ci stiamo già muovendo in questa direzione. Alcuni degli ultimi clienti hanno capito il messaggio senza essere uomini di fede.
Quello che importa è che agiscano. Sono poi quelli che credono senza saperlo. Forse uno dei compiti della Spei è proprio quello di diventare il “motorino” di una logica nuova che faccia partire “altri motorini”… Un movimento che si allarga e che può far crescere una cultura e una civiltà diversa. La Spei ha “il di più” della fede in Cristo e della devozione alla Madonna che spinge maggiormente ad andare in questa direzione: fede che può essere proposta ad altre ditte: i responsabili possono poi accogliere sia la fede che i valori, oppure solo i valori.
Così com’è la Spei può essere già inquadrata all’interno della Dottrina sociale della Chiesa?
Gli aspetti che abbiamo detto prima – dignità della persona, aiuto alla famiglia, accoglienza delle persone – sono valori già perseguiti dalla Spei. Non bisogna però dimenticarne di ulteriori e fondamentali come la solidità dell’azienda e una seria formazione dei dipendenti. Come ogni ditta che voglia rimanere in piedi, la Spei ha bisogno di avere due gambe ben solide: da una parte formare tecnici che sappiano fare bene il loro lavoro, dall’altra commerciali che sappiano vivere bene il marketing, incontrando le ditte, parlare della vostra esperienza e trovare clienti che accolgano i tecnici. Mentre la Spei vive i valori di cui abbiamo parlato prima, c’è bisogno di questi aspetti tecnico-amministrativi per stare in piedi. Un corpo ha bisogno di un’anima, e l’anima di un corpo. Anche una logica di vita, di fede e di valori, ha bisogno di un corpo, di una realtà umana. E la realtà umana, per la Spei, sono i tecnici che lavorano bene e i commerciali che trovano i clienti. Lavorare bene con l’anima che avete. La ditta deve essere sana, e per esserlo deve avere le entrate necessarie a pagare i dipendenti: la solidità di un’azienda e la formazione interna sono punti che fanno parte della Dottrina sociale della Chiesa. Alla Spei sono presenti e potrebbero essere accolti sempre di più.
Dunque i valori – e la fede – che abbiamo con il paletto della solidità e della formazione. La formazione interna, che stiamo già facendo sommariamente da anni, presto sarà certificata. Potremo addirittura venderci come insegnanti.
Questo sarebbe un bene. Bisogna prepararsi. Non si può sperare che con una benedizione o un’Ave Maria una persona diventi capace di lavorare.
Molta gente che partiva da zero ha imparato veramente il lavoro. Questo è un altro dato di fatto.
Perché qualcuno si è affiancato con un corso accelerato per aiutarlo. Bisogna però farlo seriamente.