“Chi crede in me, anche se muore, vivrà”, dice Gesù.
..Si capisce allora anche l’esigenza radicale che un “affare” come questo pone: vendere tutto, dare via tutto. In altre parole, essere disposti, se necessario, a qualsiasi sacrificio. Non per pagare il prezzo del tesoro e della perla, che per definizione sono “senza prezzo”, ma per essere degni di essi.
In ognuna delle due parabole (il tesoro nascosto e la perla preziosa) vi sono, in realtà, due attori: uno palese che va, vende tutto e compra, e uno nascosto, sottinteso.[1] L’attore sottinteso è il vecchio proprietario che non si accorge che nel suo campo c’è un tesoro e lo svende al primo richiedente; è l’uomo o la donna che possedeva la perla preziosa, e non si accorge del suo valore e la cede al primo mercante di passaggio, forse per una collezione di perle false. [2]
Non si dice però nella parabola che “un uomo vendette tutto quello che aveva e si mise alla ricerca di un tesoro nascosto”. Sappiamo come vanno a finire le storie che cominciano così: uno perde quello che aveva e non trova nessun tesoro. Storie di illusi, di visionari. No: un uomo trovò un tesoro e perciò vendette tutto quello che aveva per acquistarlo.
Bisogna, in altre parole, aver trovato il tesoro per avere la forza e la gioia e di vendere tutto. Fuori parabola: bisogna aver prima incontrato Gesù, averlo incontrato in maniera nuova personale, convinta. Averlo scoperto come proprio amico e salvatore. Dopo sarà uno scherzo vendere tutto.
Lo si farà “pieni di gioia” come quel contadino di cui parla il Vangelo.
ROMA, venerdì, 25 luglio 2008 (ZENIT.org).- Tratto da il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., predicatore della Casa Pontificia, alla liturgia di domenica XVII del tempo ordinario.