Una sessantina d’anni, Andrea abita a Roma ed è un libero professionista, consulente ed auditor sulla qualità.
Andrea, collabori con la Spei come “professionista nella certificazione della qualità”. Qual è di preciso il tuo compito?
Lavoro al “caso Spei” dal 2012, come consulente di Sistemi di Gestione per la Qualità, a seguito di una “segnalazione” fatta a Stefano Pesaresi, da un mio amico, don Antonio. Stefano , già dal 2012, voleva certificare le attività di formazione erogate dalla SPEI in conformità alla norma UNI EN ISO 9001 e, per fare ciò, aveva richiesto vari preventivi. Il “caso” o il “Volere di Colui che Tutto Può” ha voluto che in quell’anno, per un breve periodo, fosse ospite della Spei un mio amico, don Antonio, il quale ha segnalato a Stefano che io potevo essere la persona adatta per tale lavoro. Sono stato contattato da Stefano il quale mi spiegato le sue esigenze e l’attività da fare. Al telefono, sembrava “un lavoro un po’ complicato ma niente di eccezionale”. Per me era solo un’occasione di lavoro per cui gli ho inviato un’offerta che, aimè, ha accettato. Già a dicembre 2012, quanto mi sono recato di persona alla SPEI, per un primo sopralluogo per iniziare l’attività di cui in offerta mi sono subito reso conto che sarebbe stata una “missione quasi impossibile” per la grande atipicità del caso. Per conoscere bene la SPEI , bisogna conoscerla dall’interno. Abituato a frequentare varie ed eterogenee realtà aziendali, anche gradi multinazionali, diverse tra di loro, ma accumunate dalla logica portante del profitto, ho stentato a credere a quanto vedevo in SPEI. Ho pensato sinceramente che “l’imprenditore” Stefano Pesaresi fosse una Persona “non completamente sana di mente”. Evidentemente, a distanza di tempo, forse la persona “non completamente sana di mente” sono proprio io in quanto non ho rinunciato all’incarico nonostante le numerose difficoltà incontrate e che tuttora incontro. Per guidare e far funzionare con successo un’organizzazione è necessario dirigerla e tenerla sotto controllo in maniera sistematica e trasparente. Nel caso della SPEI sembra che al “timone” ci sia più “Provvidenza” che Stefano. Effettivamente non capisco come la Spei non sia fallita da tempo.
Come procede il lavoro?
È difficilissimo inquadrare il progetto Spei. È necessario “esserci dentro” per capire qualcosa, bisogna averne a che fare per tempo, molto tempo, e coglierne con pazienza i meccanismi e la “pazzia”. La Spei non ha praticamente nulla a che vedere con una Società a Responsabilità Limitata – quale giuridicamente è. Il profitto non è il suo scopo principale: per questo è più simile ad una Onlus, ma difficilmente definibile. Cerco di capire “cosa è”, “cosa fa” e “come fa” questa cosa che sembra più “una società di matti”. Il lavoro procede con molta difficoltà semplicemente perché , oltre Stefano, all’interno della Spei, non c’è un riferimento stabile, una figura che si occupi sostanzialmente di fare da tutor alle persone che arrivano in Spei nella maniera più disparata e che non sanno nulla di disegno tecnico e uso di strumenti di disegno come i CAD.
Cos’è la Spei? Che cosa fa?
La Spei è una società di consulenza per progettazione assistita che, attraverso un’attività di body rental, “affitta” disegnatori meccanici e progettisti CAD a ditte terze per lo sviluppo di progetti software o di sistemi informatici. La particolarità – o meglio, la “nobiltà” – di questa anomalissima S.r.l. sta tutta nel suo fine etico e sociale: partendo generalmente dalla segnalazione di parrocchie o di enti benefici locali, la Spei reinserisce nel mondo del lavoro persone che arrivano con particolari disagi, uomini e donne che hanno subìto traumi professionali o personali, che hanno perso il lavoro improvvisamente e che difficilmente riuscirebbero a trovarne un altro; ma anche immigrati appena arrivati in Italia, oppure uomini con particolari afflizioni psichiche. La maggior parte delle persone che hanno lavorato – o lavorano tuttora – per questa società sono partite da zero: invece che assumere professionisti del settore – ingegneri o disegnatori specializzati, incrementando da subito i profitti – la Spei investe nella formazione interna e gratuita di uomini e donne cui viene data la possibilità di partire – o ripartire – imparando ex novo il lavoro di progettista o disegnatore CAD, da spendere successivamente per conto di altre ditte.
Perché è difficile certificare un’esperienza del genere?
La Spei è l’unica realtà italiana che io conosca, ad avere un’impostazione del genere. Come dicevo, la ditta non è una vera S.r.l. perché il profitto non è lo scopo principale, ma non è neppure una Onlus in quanto il profitto c’è ma viene redistribuito tra i dipendenti o riutilizzato per coprire i costi di nuove assunzioni. La norma UNI EN ISO 9001:2008 specifica i requisiti di un sistema di gestione per la qualità per un’organizzazione che: a) ha l’esigenza di dimostrare la propria capacità di fornire con regolarità un prodotto/servizio che soddisfi i requisiti del cliente e quelli cogenti applicabili; b) desidera accrescere la soddisfazione del cliente tramite l’applicazione efficace del sistema, compresi i processi per migliorare in continuo il sistema ed assicurare la conformità ai requisiti del cliente ed a quelli cogenti applicabili. I requisiti del cliente possono essere specificati contrattualmente dal cliente stesso, o possono essere stabiliti dalla stessa organizzazione. In entrambi i casi, è il cliente che, in definitiva, determina l’accettabilità del prodotto/servizio. Riuscire a formare da zero Persone “disagiate” in disegnatori CAD , con vari di livelli di conoscenza ma che “soddisfino” i “requisiti” dei clienti per essere utilizzati presso le loro aziende, anche a tempo determinato, non è assolutamente un’impresa facile. L’attività di formazione deve essere regolamentata, attuata, documentata verificata e migliorata nel tempo per essere certificabile nell’ambito di un processo del sistema di gestione per la qualità. Ho fatto presente che è assolutamente necessario redigere almeno un piano di formazione, a vari livelli, con diversi gradi di difficoltà ed approntare un manuale ad hoc di esercizi e relativi test di apprendimento per la particolare “tipologia” di discenti che “transitano” in Spei. Stefano è d’accordo e sta lavorando con alcuni collaboratori, per ultimare il manuale, gli esercizi ecc.
E la ditta, così come è impostata, funziona?
La ditta funziona – quantomeno, è da sei anni che pur ragionando a questo modo riesce ancora a stare in piedi, a dispetto di altri uffici tecnici “classici” che negli ultimi tempi hanno chiuso i battenti trascinati dalla crisi e dalla conseguente mancanza di lavoro. Certo, la Spei ha molte cose in cui potrebbe migliorare, in primis il sistema con cui i nuovi arrivati vengono formati alla professione. La gente che arriva parte il più delle volte da una situazione di totale ignoranza tecnica del lavoro, ed è tutta da formare. Ripeto, attualmente il processo di formazione, a mio avviso, viene fatto in modo sommario. Attraverso un processo di formazione documentato le persone potrebbero essere formate meglio ed avere maggiori opportunità di lavoro. I clienti potrebbero riconoscere nella certificazione del sistema qualità della SPEI una ulteriore garanzia della bontà del processo di formazione erogato dalla SPEI alle Persone che vi transitano. Gli attestati di formazione conseguiti dalla Persone , a fronte di un documentato processo di formazione, potrebbero essere meglio “spendibili” nella dura ricerca di un posto di lavoro.