C’è gente che Dio prende e mette da parte. Ma ce n’è altra che egli lascia nella moltitudine, che non «ritira dal mondo». È gente che fa un lavoro ordinario, che ha una famiglia ordinaria o che vive un’ordinaria vita da celibe. Gente che ha malattie ordinarie, e lutti ordinari. Gente che ha una casa ordinaria, e vestiti ordinari. È la gente della vita ordinaria. Gente che si incontra in una qualsiasi strada. Costoro amano il loro uscio che si apre sulla via, come i loro fratelli invisibili al mondo amano la porta che si è richiusa definitivamente sopra di essi. Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messo è per noi il luogo della nostra santità. Noi crediamo che niente di necessario ci manca. Perché se questo necessario ci mancasse, Dio ce lo avrebbe già dato.
Così si espimeva negli anni 50 Madeleine Delbrel in “Noi delle strade”, per richiamare i cristiani all’apostolato di quartiere, all’azione laica fatta lì dove si vive, un’azione da compiere gomito a gomito, corroborata dalla preghiera comunitaria.
E’ il richiamo ad una vita nuova, che nasce da dentro, la sola che può cambiare davvero ciascuno di noi. E’ una chiamata ad uscire fuori dalle proprie sicurezze, a liberarci dai vincoli e gli inganni della nostra vita attuale.
P. Sequeri scrive che in Madeleine Delbrêl possiamo “percepire un incoraggiamento a vincere le resistenze che noi stessi ancora sperimentiamo..Non abbiamo ancora fatto ciò che i santi si aspettano da noi, se ci limitiamo ad ammirare la forza con cui hanno vissuto il cristianesimo, senza attingerne energia per il compito che è propriamente il nostro.
Madeleine sperimenta però la delusione del progetto dei preti-operai che inizialmente aveva sostenuto. E riscopre che, solo partendo dalla Chiesa e lì ritornando, come accadeva gli apostoli inviati da Gesù, la missione di strada diventa efficace, perché la Chiesa è il corpo di Cristo, che vive, accoglie, ama, guarisce, attraverso ciascuno dei battezzati. Noi, come agenti di cura delle parti del corpo malate, dobbiamo andare lontano nelle regioni che hanno bisogno.
Un viaggio spaziale ma soprattutto spirituale per dispiegare l’energia salfivica del Vangelo. Poi bisogna ritornare alla base che è la Chiesa ed alimentare la nostra spiritualità con il Corpo vivente di Cristo consegnato nell’Eucarestia.
Così lo Spirito si incarna in noi e da noi guarisce la carne malata del Corpo della chiesa quando lo ricosegniamo a chi non ce l’ha.
Madeleine manterrà così sempre una piena comunione ecclesiale, anche quando l’obbedienza le costerà molto, perchè solo con la chiesa e in comunione con essa, Cristo è autenticamente comunicato.
Un mese prima della sua morte, in una conferenza ripercorre la sua vita rileggendo l’esperienza di trent’anni vissuta a Ivry, lasciandoci un vero e proprio testamento spirituale. Scrive:
“La vera vita di fede tiene e si sviluppa in ambiente ateo. Si sa, in anticipo, votata ai tempi duri, che non va a cercare, ma che affronta rinforzata quando li riceve. E’ una vita la cui pace è una lotta, e per la quale una tranquillità soffice è sospetta. Alla scuola di Ivry si apprende che la conversione e la sua violenza durano tutta la vita“.
E’ in questo mondo, a stretto contatto con le persone, a loro servizio, che Madeleine cercò di vivere un autentico incontro con Dio, animata da un profondo senso di rispetto nei confronti del prossimo e del suo mistero come proiezione del mistero di Cristo, ma nello stesso tempo desiderosa di riportare alla luce in ciascuno di loro quella realtà sommersa che è la fede vera.
“Salvare il mondo non significa offrirgli la felicità, ma dare un senso alla sua sofferenza e regalargli una gioia che nessuno gli può sottrarre“.