Ha salvato gli altri

“Ha salvato gli altri ma non è riuscito a salvare sé stesso.” Questa frase che un passante proferisce rivolgendosi a chi sotto la Croce attendeva da un momento all’altro il miracolo della salvezza di Gesù, è alla radice del cambiamento, anzi dello capoolgimanto dei valori che il Vangelo impone a chi vuole adottarlo. 

Il seme buono produce molti frutti, dice Gesù, ma deve prima morire e per riuscire a moltiplicarsi, deve consumarsi, disperdersi completamente, annullarsi; non deve soprattutto guardare sé stesso compiacendosi del suo stato perfetto, perché finirebbe per rimanere solo.

Così il Regno dei cieli è come la pasta che cresce dopo aver sciolto in essa una misura di lievito. Quel lievito siamo noi che ci siamo annullati per gli altri e li abbiamo fatti crescere, finché se ne sono andati e di noi non si sappia più nulla.

Ma qualcosa si potrà ancora vedere: un’immagine, un segno della paternità che aveva dato origine al cambiamento dei valori è nel frutto, che è nato.

Così nella storia della resurrezione di ognuno di noi si cerca invano il fattore decisivo, il motivo, l’evento che ha dato luogo al cambiamento. E si protende lo sguardo all’indietro per capire almeno qual’è stato il primo momento, quando tutto è iniziato, ma per quanto ci sforziamo in questa ricerca non approdiamo a nulla: quella causa si è dispersa completamente.

Lungo la strada, la forza dello Spirito che abbiamo accettato ci plasmasse, ha rovesciato il male e lo ha tramutato in bene, ha appianato le difficoltà ed ha moltiplicato le briciole di bontà che emergevano via via nel nostro cuore.

Rimane tra le mani il frutto buono e questo è molto più bello, perché un frutto è qualcosa che ha le dimensioni delle nostre mani e delle nostre bocche e possiamo prenderlo, anzi ci piace prenderlo, guardarlo, gustarlo, e lo facciamo in un modo che con il seme non sarebbe possibile. 

Questa fusione, questo annullamento, che il Vangelo ci chiede, non è senza speranza. Perchè intanto possiamo godere pienamente nel presente dei frutti buoni, che sono stati preparati per noi e che ci vengono donati, anzi rovesciati nel grembo in abbondanza. La terra, il terreno in cui il seme cade lo alimenta in abbondanza, l’acqua che viene dal cielo lo disseta senza limiti. Noi seme buono ciò che troviamo intorno e che ci dà vita, lo possiamo prendere: è per noi!

Ma poi ci invita a spendersi completamente per creare nuovi frutti, di cui altri godranno in futuro, senza fermarsi a valutare la convenienza dell’operazione, senza trattenere le nostre potenzialità per chissà quale calcolo sull’incertezza del futuro, senza trattennere cioè i semi in tasca, ma gettandoli subito nel campo, in un gesto che esce fuori dai nostri limiti e i nostri confini, un gesto che oltrepassa il mondo sensibile e crea il Paradiso del domani.