Originario di Salerno, Alfredo si è laureato a Napoli in Ingegneria. Vive a Torino dal 1978 e lavora alla Fiat, dove si è occupato prima dell’area tecnica e dei servizi di ingegneria, poi degli acquisti, con l’opportunità di girare il mondo. Sposato nel 1988 con una torinese, ha una figlia di ventidue anni che lo ha reso nonno nel 2013. È a tutti gli effetti un amico e sostenitore della Spei.
Come e quando hai conosciuto la Spei?
Quando, onestamente, non lo ricordo, ma dev’essere stato nel 2008-2009, forse 2010. L’ho conosciuta come fornitore di servizi di ingegneria quando all’epoca mi occupavo anche di quello: ero responsabile per gli acquisti del gruppo Fiat. Spei mi aveva contattato e accettai un incontro. Così conobbi a Torino l’ingegner Pesaresi, che arrivò assieme ad un ragazzo, non ricordo il nome, un suo dipendente.
Come fu l’incontro?
Dal punto di vista professionale tutto sommato chiaro: poteva finire subito lì, perché Spei non rientrava in quelli che erano gli schemi per cui aspirare a diventare fornitore del gruppo. Dal punto di vista umano, inevce, Pesaresi mi colpì molto, perché non fece alcun mistero della sua religione, del fatto di essere cattolico. Anch’io sono cattolico, e cerco di operare ispirandomi ai principi della mia religione… In lui vidi una fede molto molto forte, e Pesaresi non aveva “rispetto umano” nel professarla, tenendo conto che in un ambiente come la Fiat c’è un moralismo esasperato e soprattutto una grandissima attenzione a non urtare quelli che sono aspetti come credi, credenze, razze: un politically correct molto asettico. Apprezzai molto di vedere uno come lui, e ciò mi spinse a cercare in ogni caso di dargli dello spazio: non potendo dargli direttamente forniture, ho cercato di metterlo in contatto con altre società che lo facessero lavorare, in primis CNH.
La cosa andò a buon fine?
Sì sì, qualcosa andò a buon fine. In quei tempi feci incontrare Stefano con persone che condividono con me lo stesso carisma alla Compagnia delle Opere… Ma l’incontro non fu fruttuoso. Avevo capito perché, e così non ho insistito.
Qual’era il motivo?
Il movente di Stefano, molto molto chiaro e chiarissimo nel libro che hai scritto, è principalmente quello di creare posti di lavoro e aiutare gli altri. C’è un prima e un dopo nella Spei, uno spartiacque nella vita di Stefano: il cambio della sua società ne ha praticamente cambiato lo statuto. Non si è più davanti ad una società di servizi per l’ingegneria ma ad una “società di collocamento”: questo non era coerente con quelli che erano gli obiettivi della Compagnia. Ebbi anche un feedback da loro: non trovavano con Stefano accordanza di idee.
Che disaccordo c’era?
La Compagnia perseguiva obiettivi di tipo economico, quindi voleva sviluppare un business. Cercava un partner nell’area modenese che potesse integrare con le sue competenze certe carenze in vasti campi. Quando ha capito che il discorso sarebbe stato “lungo e pesante” perché occorreva ricondizionarlo, ovvero far tornare Pesaresi quello che era prima, ha lasciato perdere.
Oltre Stefano ti aveva colpito anche la Spei, quello che faceva?
Sì sì, certo. Parlo di Stefano Pesaresi come rappresentante della Spei. Il suo rapporto con me è sempre stato mediato attraverso la Spei.
Da quel primo incontro vi siete rivisti?
Sì, ma non regolarmente. Due tre volte in occasione di viaggi di Stefano a Torino.
Come mai adesso vi vedete di più?
Da circa sei mesi lavoro molti giorni della settimana a Modena, sempre per la Fiat, anche se ora mi occupo di materiali e non più di servizi: lavoro per CNH ma soprattutto per Maserati-Alfa Romeo. Tornato a Modena mi tornò alla mente Spei, e così ricontattai Pesaresi.
Hai seguito la nostra ditta dal 2009 ad oggi? Hai notato in lei dei cambiamenti?
Certo, soprattutto nella direzione che mi era parsa ancora incerta quando la incontrai per la prima volta. La Spei è sempre meno finalizzata ai servizi di ingegneria, nonostante ci siano professionisti in gamba: tante persone attraverso la Spei sono presentate al mondo del lavoro.
Cosa intendi?
Attraverso la Spei ma non esclusivamente nel campo dell’ingegneria. Ho letto interviste nel libro a persone che si sono spostate verso altre attività, persino il giardiniere.
È una cosa che credi “scientifica”?
No. È una peculiarità di Pesaresi, ed uno dei discorsi che abbiamo avuto insieme, in cui sonno stato coinvolto. Molte persone hanno veri talenti ma non riescono a proporsi nel modo giusto: Spei li avvia a valorizzarli e renderli appetibili per una loro “vendita”. Detto in maniera brutale, questo è il lavoro che fa una società di lavoro interinale, la quale però si limita a “gestire la risorsa umana”: un’espressione che per me è molto cattiva e limitante. Un’agenzia spesso non cerca di aiutare la persona, tenendo conto delle sue peculiarità e della sua vita: ad esempio, ad una mamma non si dovrebbe proporre un lavoro da otto ore al giorno, accetterebbe allettata dal guadagno ma farebbe poi danni peggiori. Occorre vedere la “persona”, non la “risorsa umana”.
I colloqui di Stefano sono molto orientati verso la persona. Può sembrare che alla Spei manchi il “discorso lavoro”?
Non manca, ma è focalizzato su un altro obiettivo, che è appunto la persona. Mentre normalmente una società parte dal lavoro che ha e va a cercare la persona che risponde alle sue aspettative, Stefano Pesaresi parte dalla persona che ha e va a cercargli un lavoro adatto: fa il processo assolutamente contrario.
Fare così è un grandissimo rischio imprenditoriale?
Sì, ma il rischio dipende da quanti capitali vengono investiti. Se si comincia ad assumere una persona pagandole uno stipendio senza trovarle mai lavoro… Può essere sostenibile con due, massimo tre persone, ma se non si arriva a un fatturato non si va avanti. Se invece la persona viene invitata sempre ad un nuovo colloquio, in attesa che qualcosa si muova per lei, allora la cosa regge e diventa “servizio”. Ma non si può pensare di crescere in maniera violenta e veloce perché c’è un gap tra il momento in cui si pagano gli stipendi e il momento in cui si incassano i soldi: per farlo servirebbero dei finanziamenti.
Con la Spei sei in un rapporto di amicizia?
Sì. Amicizia, stima e sostegno. Vorrei collaborare più concretamente con voi nei prossimi mesi. Sto elaborando qualche idea.
Che genere di idee?
Idee per aiutarlo concretamente nel lavoro. Il lavoro è dignità, è una cosa importante. Nel momento in cui potrò recuperare altre ore dal lavoro, vorrei aiutare Stefano a Modena o fare una cosa simile a Torino, così da creare delle opportunità di lavoro.
Al momento ho intervistato più di ottanta persone. Tra queste ho sentito di gente che fatto il colloquio alla Spei ha “magicamente” trovato un lavoro dopo pochi giorni. Per altre, purtroppo, non è scattato niente.
Non parlerei di “magia”. È questo, secondo me, il discrimine alla Spei: la scintilla può e non può scattare. Sono convinto, come Pesaresi, che ci voglia Qualcun altro, da fuori, che decide e guida. Sicuramente noi siamo responsabili delle nostre azioni, in totale libertà, però abbiamo la capacità di credere, aver fede o no: è questo che cambia le cose.
Quindi sostieni che il successo dipende da quanto crede chi arriva?
Sì.
Pur non sapendo niente?
Sì, non è importante. La fede è un dono. Colui che fa questo dono non si preoccupa di vedere se sei battezzato o se hai bestemmiato due minuti prima.
Deve scattare una scintilla.
Non è una scintilla intesa come casualità o causalità, ma l’intervento di Uno rispetto alla nostra volontà. Il discrimine è la qualità dell’incontro della persona con la Spei: se questa ha fatto un incontro, e l’incontro l’ha cambiata, è già un successo. Nessuno, neanche Stefano, può sapere se questo incontro ci sia stato o no.
L’incontro con chi?
Con Gesù.
Sta dicendo che uno arriva alla Spei per trovare lavoro, fa l’incontro con Stefano e insieme incontra Gesù?
Uno arriva alla Spei per trovare lavoro, incontra Stefano e attraverso di lui vede una testimonianza. Testimonianza che può vedere anche attraverso altri, anche te: quella della Spei è per lui un’occasione. Una testimonianza vera che cambia la persona: questo è il cambiamento.
Sta poi alla persona decidere cosa farsene di questa testimonianza. Alla sua libertà.
Leggendo il libro, ho capito che il cambiamento è l’effetto dell’incontro. E ho notato come l’approccio della Spei è simile al mio approccio con la fede.
Anch’io alla Spei ho visto una testimonianza che è stata l’inizio di un nuovo cammino. Quell’incontro è stato il primo cambiamento.
Se uno fa l’incontro e cambia poi cammina sulla propria strada. La libertà che si evince dalle interviste e dal comportamento dello stesso Stefano, ad esempio quando parla di persone musulmane, è anche la libertà di rispettare la loro religione: chiunque come cristiano-cattolico ha come missione l’evangelizzazione, perché se uno pensa che una cosa sia bene per sé deve essere bene anche per gli altri: ma “rispettare” le altre persone, non per pigrizia o convenzione umana ma perché hanno incontrato attraverso di me Gesù, può già essere per loro salvezza. Parafrasando san Paolo, il musulmano giusto sta aspirando lo stesso a Cristo.
Una domanda provocatoria: c’è il rischio che Spei diventi una setta, che si possa staccare dalla Chiesa?
No. Nell’ambito della Chiesa ci sono tante comunità, ognuna delle quali con un proprio carisma: i focolarini, l’Azione cattolica, CL, i francescani… Io non ho visto in Stefano una comunità e un carisma di questo tipo: ho visto una persona che segue i dettami della Chiesa. Chiunque poi, ad esempio, può andare più o meno d’accordo col proprio vescovo: fa parte delle miserie umane; anche a me può stare più o meno simpatico un certo uomo, dipende da come siamo, ma il Signore ci prende lo stesso. Sicuramente Stefano potrà andare incontro a delle difficoltà, ma in lui ho visto solamente una grandissima fede. Anche verso la Madonna di Medjugorje. In quel posto ci sono stato più volte, ma non mi hanno colpito i fatti soprannaturali, bensì le tante persone di qualsiasi classe ed età che stanno in raccoglimento: quello è il miracolo.
Dici che nella Spei non hai visto il carisma di un movimento. Che cosa hai visto?
Ho visto un gruppo di credenti, una comunità, come è comunità un gruppo di dieci persone che si trovano in parrocchia e dicono una preghiera insieme: niente di particolarmente strano. Nella Spei c’è una comunità legata dall’interesse comune all’organizzazione professionale del lavoro, che cerca una collocazione nel mondo del lavoro per le persone. Sicuramente Stefano lo fa cercando anche di sviluppare la sua comunità, ma se qualcuno non viene alla riunione di preghiera non si pone automaticamente in una posizione discriminata tale da essere mandato via.
Cosa pensi del fatto della preghiera in ufficio?
Un fatto molto bello. Se uno ritiene, come Stefano, che la preghiera sia un fatto positivo, dà l’opportunità agli altri colleghi di farlo, ben volentieri. Così facendo la preghiera diventa un elemento di coesione, condivisione e testimonianza. Anch’io dovrei avere più coraggio in tal senso nel mio luogo di lavoro.
A chi consiglieresti di venire alla Spei?
A tutti, non c’è un discrimine. Se uno cercasse lavoro lo porterei alla Spei perché sicuramente lo aiuterebbero. Se uno non cercasse lavoro, lo porterei comunque alla Spei perché potesse condividerne l’aspetto positivo. Se uno poi avesse da offrire un lavoro, lo porterei per far del bene sotto l’aspetto economico.
Della serie: “una testimonianza fa bene a tutti”…
Tutte le opportunità nascono dal’incontro con Gesù Cristo. Più persone arrivano più c’è possibilità di muoversi. Chi non porterei alla Spei? Chi non è aperto, chi ha preconcetti, chi ha chiusure ideologiche: rischierebbe solo di far polemica. Ad esempio un integralista cattolico, che magari pretenderebbe la conversione del musulmano, rompendo l’armonia del gruppo; e neanche un integralista ateo, avrebbe da ridire su tutto rendendo la vita impossibile.
Lasciando stare la Spei, può arrivare un momento in cui ci si deve fermare di cambiare?
No, se non quando si cammina coi piedi avanti! E neanche!
Se uno cambia sempre come fa a tenere costante Gesù?
Perché Lui è stato, è, e sarà: quando lo si incontra ci si evolve per adeguarsi a Lui. È un fatto continuo, non un episodio occasionale. Non ci si arriverà mai a convertirsi definitivamente: è un processo continuo, un cambiamento continuo.
22/06/2015