IL LAVORO CHE DOVEVO FARE

Lo dice con un sorriso da bambino, Enzo, che alla Spei è “trafficante di esseri umani”, il commerciale che piazza i colleghi presso altre ditte. “Forse, dice, dopo i cinquanta ho trovato finalmente il lavoro che dovevo fare. La parlantina non mi manca.”
Alla Spei è entrato per due strade: “umanamente” grazie a Paolo, un amico con cui canta nel coro del Duomo di Modena e per cui Enzo ha lavorato due settimane d’estate in campagna, a raccogliere amarene; e poi “per volere di Maria”, senza la cui guida non avrebbe trovato una moglie con cui condividere una vita semplice e una fede genuina che chiede, ogni giorno, possa crescere e “prenderlo” sempre più. L’unica cosa, la fede, in cui è valsa la pena di investire tutto.
Già molto prima di aver perso drammaticamente il suo lavoro di corriere – “da un giorno all’altro la ditta licenziò tutti i dipendenti” – ed essere stato per quattordici mesi disoccupato, Enzo era sui passi di un cammino spirituale: cominciò un quindici d’agosto – solo dopo scoprì che giorno particolare fosse – e col tempo, faticosamente, si riavvicinò alla Chiesa e ai preti, con alcuni dei quali strinse rapporti di profonda amicizia. Guardando le cose tra le righe, dice oggi, ci si accorge dei tanti segni, piccoli e grandi, che solo una vita di preghiera può rendere evidenti.
Parla dei segni, Enzo, e pure dei “divieti” che Dio mette e permette sulla strada di tutti, la sua compresa. Durante il suo lungo periodo di disoccupazione, Enzo chiedeva ogni mattino a Maria, tra le lacrime, un lavoro che permettesse alla sua famiglia di campare. Lo chiedeva con fede, come quella di Giobbe: “Mio Dio, mio Dio: perché m’hai abbandonato?”. Non ha mai smesso di pregare, e il segno è arrivato: l’ingresso alla Spei con un lavoro “inventatissimo” che accade proprio “nel momento giusto” per entrambi, quando la ditta stava riorganizzando il settore commerciale e proprio di lui aveva bisogno.
Enzo era già sulla strada di un cammino di fede, ma dopo due mesi alla Spei ha imparato a guardare allo specchio i propri limiti: limiti che vanno accettati e superati. Primo su tutti quel “vizio” che aveva di pianificare tutta la giornata, il mese, la vita: un’abitudine che inconsapevolmente metteva un freno tra lui e la volontà quotidiana di Dio. Col tempo e la preghiera ha potuto capire che il periodo della mancanza di lavoro – che sente come uno dei “divieti di Dio” – è stato per lui e la moglie “un bene per il suo bene”, un’esperienza necessaria a fargli capire l’importanza dell’affidamento totale alla Provvidenza di Dio: senza calcoli o tabelle excel, è col cuore – con il sorriso – che dimostra ciò che dice.
Ciò non significa che una volta affidati a Maria “siano tutte rose”, e che i problemi di ogni giorno spariscano; cambia però “il peso del giogo”, che il Signore rende leggero. Un giogo che si assume volentieri, con la consapevolezza che non si è più soli a portarlo sulle spalle. È con questa fede “veramente donata”, quasi “immeritata”, che Enzo ha lasciato un secondo lavoro proprio in questi giorni. Turni di notte, settecento euro sicuri ogni mese ma anche tanto meno tempo per pregare e vivere serenamente la propria vita coniugale e di genitore: due mesi fa, dice, non vi avrebbe mai potuto rinunciare, avrebbe tenuta impegnata – pianificata in toto – ogni ora della sua giornata, a costo di perderne la tranquillità; non avrebbe mai “ceduto” uno stipendio sicuro in cambio di più tempo per pregare, “andare a Messa” nel giorno feriale. Ha scelto così, Enzo, proprio in questi giorni: si fida del Signore ciecamente, sa quello che gli chiede e accetta il Suo invito, ci scommette. Se poi quei settecento euro in più verranno a mancare, è sicuro che Dio provvederà, il suo primo investimento è lì, e il domani “sarà buono di sicuro, perché il Padre non mi abbandonerà”. 

04/08/2014