Il parlare di Dio

Parlando della Parola di Dio diamo spesso per scontato il fatto più sconvolgente di tutti e cioè che Dio parli. [1]

In ciò la Bibbia vede la differenza più chiara con gli idoli che “hanno bocca, ma non parlano” (Sal 114, 5). [2]

Egli scrive sul cuore e anche le sue parole le fa risuonare nel cuore. [3]

Dio non ha bocca e fiato umani: la sua bocca è il profeta, il suo fiato lo Spirito Santo. E tuttavia si tratta di un parlare in senso vero; la creatura riceve un messaggio che può tradurre in parole umane.

Così vivido e reale è il parlare di Dio che il profeta ricorda con precisione il luogo, il giorno e l’ora in cui una certa parola “venne” su di lui.

Nessuna voce umana  raggiunge l’uomo alla profondità in cui lo raggiunge la parola di Dio. [4]

Dio creò l’uomo “a sua immagine” proprio perché lo creò capace di parlare, di comunicare e di stabilire dei rapporti.

Egli, che ha in se stesso, dall’eternità, una Parola, ha creato l’uomo dotato di parola.

Per essere, però, non solo “a immagine”, ma anche “a somiglianza” di Dio (Gen 1, 26), non basta che l’uomo parli, bisogna che imiti il parlare di Dio. Ora contenuto e movente del parlare di Dio è l’amore.

Dio parla per lo stesso motivo per cui crea: “Per effondere il suo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della sua gloria”, come dice la Preghiera Eucaristica IV. La Bibbia, dall’inizio alla fine, non è che un messaggio d’amore di Dio alle sue creature. I toni possono cambiare, dall’adirato al tenerissimo, ma la sostanza è sempre e solo amore.

Nel suo dramma Porte chiuse, Sartre ci ha dato una immagine impressionante di quello che può diventare la comunicazione umana, quando manca l’amore. Tre persone vengono introdotte, a brevi intervalli, in una stanza. Non ci sono finestre, la luce è al massimo e non c’è possibilità di spegnerla, fa un caldo soffocante, e non c’è nulla all’infuori di un canapè per ciascuno. La porta naturalmente è chiusa, il campanello c’è, ma non dà suono. Chi sono? Sono tre morti, un uomo e due donne, e il luogo dove si trovano è l’inferno.

Non vi sono specchi e ognuno di loro non può vedersi che attraverso le parole dell’altro che gli rimanda l’immagine più brutta di sé, senza nessuna misericordia, anzi con ironia e sarcasmo. Quando, dopo un po’, le loro anime sono diventate nude l’una all’altra e le colpe di cui ci si vergogna di più sono venute a galla una ad una e sfruttate dagli altri senza pietà, uno dei personaggi dice agli altri due: “Ricordate: lo zolfo, le fiamme, la graticola. Tutte sciocchezze. Non c’è nessun bisogno di graticole: l’inferno sono gli Altri”.

L’abuso della parola può trasformare la vita in un inferno.

 

ROMA, venerdì, 11 luglio 2008 (ZENIT.org).- Tratto da il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia -, alla liturgia di XV Domenica del tempo ordinario; Matteo 13, 1-23

 

 


[1] Il Dio biblico è un Dio che parla! “Parla il Signore, Dio degli dei, non sta in silenzio”, dice il salmo (Sal 50, 1-3); Dio stesso ripete spesso: “Ascolta, popolo mio, voglio parlare” (Sal 50, 7).

[2] Gesù nel vangelo parla della Parola di Dio come di un seme che cade su terreni diversi e produce frutti diversi. La parola di Dio è seme perché genera la vita ed è pioggia che alimenta la vita, che permette al seme di germogliare.

 

[3] Lo dice espressamente Lui stesso attraverso il profeta Osea, parlando di Israele come di una sposa infedele: “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2, 16).

 

[4] “Essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12).