il Signore farà di noi grandi cose

Giorno dopo giorno Benedetta si apre all’azione della grazia in un sofferto cammino di fede e di abbandono che la purifica e la rende una creatura che lentamente si spoglia di tutto per divenire dono per gli altri.

Tanti le scrivono o vanno a trovarla, in quella stanza dove lei consuma la sua offerta trasformandosi come l’ostia sull’altare. Benedetta scrive molte lettere, risponde a tutti, da sola finché può farlo e con molta fatica, con la sua scrittura sempre più incerta e tremolante, in seguito con l’aiuto della mamma attraverso un alfabeto muto convenzionale i cui segni venivano formati sul suo viso con le dita della mano destra, unica parte del suo corpo rimasta sensibile.

La sua cameretta diventa un crocevia di vite e il suo letto un altare attorno al quale si crea uno straordinario cenacolo d’amore: ragazzi e ragazze che da lei ci vanno non per pietà, ma per quello che da Benedetta riescono ad imparare: un amore grandissimo per la vita.

Una suprema lezione di fede e di coraggio proprio da lei, nella sua carne offesa e umiliata, nella sua infermità: è il “mistero” di Benedetta. “Prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora –lei scrive – ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, certezza, fino alla consumazione dei secoli…”.

Il mondo di Benedetta, il suo mondo interiore, affascina quelli che la vanno sempre più spesso a trovare. I suoi pensieri, “dettati” alla madre, sono come perle di luce che, riflettendo Dio nella sua anima, affacciano su di un abisso vertiginoso, una dimensione “altra”, intraducibile, che ha il sapore dell’eterno

“Il dolore è stare con la Madonna ai piedi della Croce”, lei dice. “Prego molto la Madonna. Lei conosce cosa sia soffrire in silenzio… Nelle prove mi raccomando alla Madre che ha vissuto prove e durezze le più forti, perché riesca a scuotermi e a generare dentro il mio cuore il suo figlio così vivo e vero come lo è stato per Lei”.

La prima volta andò a Lourdes per chiedere di guarire, la seconda volta per pregare per gli altri, perché, come diceva lei, “la carità è abitare negli altri”. “La Madonna – confesserà poi al ritorno – mi ha ripagato di quello che non possiedo più…”. Ha ottenuto infatti la cosa per lei più importante: la guarigione interiore.

Un’esperienza così trasfigurante che le farà affermare: “La vera gioia passa per la Croce. Mi piace dire ai sofferenti, agli ammalati che se noi saremo umili e docili, il Signore farà di noi grandi cose…”.

E il giorno dell’Incontro si avvicina. La mattina del 23 gennaio 1964, memoria dello Sposalizio della Vergine, una rosa bianca fiorisce, fuori stagione, in giardino.

Quando lo sa, Benedetta dice: “E’ un dolce segno”. Solo due mesi prima, infatti, aveva sognato di entrare in un cimitero di Romagna e di aver trovato in una tomba aperta una rosa bianca da cui emanava una luce abbagliante. Benedetta moriva e una rosa quel giorno sbocciava, fuori tempo, nel suo giardino.

Aveva detto: “Fra poco io non sarò più che un nome; ma il mio spirito vivrà, qui fra i miei, fra chi soffre, e non avrò neppure io sofferto invano.”

 

Venerabile Benedetta Bianchi Porro – Dovadola, Forlì, 8 agosto 1936 – 23 gennaio 1964 – Maria Di Lorenzo