Intervista a S.Maurizio

Secondo sant’Eucherio di Lione (380-­450 dC), il primo che raccolse e raccontò nel suo Passio Acaunensium martyrum, la storia della Legione Tebana, attorno al 286 essa era di stanza in Gallia, presso la città di Agaunum (odierna Saint Maurice nell’attuale Cantone Vallese in Svizzera) per reprimere una delle cicliche rivolte dei Galli Bagaudi.

Conclusa vittoriosamente la campagna, Massimiano Erculeo, co­imperatore con Diocleziano, ordinò alle legioni di sacrificare all’imperatore e di eseguire una spedizione punitiva per distruggere alcuni villaggi del Vallese convertiti al cristianesimo. Gli ufficiali della Legione Tebana, Maurizio, Esuperio e Candido, insieme ai loro centurioni e legionari, si rifiutarono di adempiere gli ordini, dichiarando apertamente di essere cristiani loro stessi.

Massimiano ordinò la decimazione della legione (un soldato ogni dieci doveva essere ucciso dai suoi stessi compagni). Dopo la prima decimazione, ne ordinò una seconda, perché la Legione Tebana continuò a rifiutarsi di compiere i massacri. All’ennesimo rifiuto, Massimiano chiamò soldati di altre legioni per punire quella ribelle. La tradizione vuole che la carneficina sia durata diversi giorni e abbia fatto almeno seimila e seicento vittime.
La devozione al santo martire Maurizio e ai soldati suoi compagni si diffuse in tutta la zona alpina ed è molto radicata ancora ai nostri giorni.

Maurizio, vuoi parlarci dei tuoi tempi e della vita militare sotto l’Impero romano? 

L’Impero di Roma in quel periodo aveva raggiunto l’apice del suo splendore e della sua potenza, le sue legioni avevano sconfitto e soggiogato quasi tutti i popoli che abitavano in quello che era allora il mondo conosciuto. A noi legionari era affidato il compito di mantenere l’ordine e la legalità nell’immenso territorio conquistato.

La tua vicenda risale alla fine del terzo secolo, il che vuol dire che il messaggio di Gesù di Nazareth ai tuoi tempi si era già ampiamente dif uso in Europa, arrivando fino ai «limes» dell’Impero.

Effettivamente la religione cristiana si era diffusa rapidamente, tanto da insidiare il primato della vecchia religione pagana. Molti membri dell’esercito avevano abbracciato la nuova fede, pur non mettendo mai in discussione la fedeltà a Roma e all’Imperatore. Anche noi ci eravamo convertiti al Vangelo, eravamo quindi coscienti che sopra di tutti c’era Dio Padre che per manifestare agli uomini il suo Amore e la sua tenerezza aveva mandato sulla terra il Figlio suo Gesù Cristo per rivelarlo, e nonostante fosse stato condannato e crocifisso, dopo tre giorni era risuscitato e aveva inviato lo Spirito Santo, tramite i suoi Apostoli, a vivificare la terra.

Voi che avete conosciuto questo messaggio di salvezza diverse generazioni dopo l’annuncio dei primi discepoli, come vi rapportavate a quello che era il nucleo centrale della fede cristiana?

Attraverso l’insegnamento di Gesù avevamo preso coscienza che ogni essere umano, uomo o donna che fosse, nasceva con la stessa dignità di fronte a Dio, fosse egli figlio di uno schiavo o di un membro del Senato di Roma, quindi tutti gli uomini di fronte a Dio erano sullo stesso piano, un’uguaglianza in dignità che aveva dello straordinario.

Una novità questa di difficile comprensione per la mentalità vigente nell’antica Roma in cui la divisione tra plebe e patriziato, tra cittadini romani e popoli barbari era fortemente radicata. L’invito a perdonare chi ti offende, il rifiuto della vendetta su chi ti fa del male, erano cose inaudite ai miei tempi. Se poi aggiungi l’attenzione da prestare a chi è malato, sofferente o debole, e l’invito da mettere al centro della vita di tutti i giorni i poveri, ti renderai conto che il suo messaggio era una vera rivoluzione.

Già, ma Gesù di Nazareth non si era limitato a quello, aveva anche detto che la violenza non era una strada da percorrere, perciò come si conciliava quest’af ermazione con la politica dell’Impero di cui le legioni romane erano il «braccio armato»?

Guarda, pur essendo noi militari inquadrati in una delle più superbe legioni romane, il nostro compito non era di far del male ad altri, ma di difendere quello che era il territorio di Roma dalle invasioni dei popoli barbari. Dovevamo difendere i suoi cittadini, le sue leggi, la sua cultura, in una parola quella che veniva chiamata la «Pax Romana». 

Era per quello allora che ti trovavi di stanza nelle Alpi? 

Con i miei legionari ero stato destinato in quelle zone per contrastare le continue sommosse e rivolte dei Galli tra i quali la tribù dei Bagaudi composta in gran parte da «teste calde» che mal sopportavano la disciplina e le leggi di Roma. Noi avevamo il compito di mantenere l’ordine nelle vallate alpine. 

È vero che voi avete scritto una lettera all’Imperatore manifestando la vostra fedeltà a Roma, ma ribadendo il principio secondo cui, come militari di fede cristiana, avevate il compito di difendere, oltre che il territorio, i più deboli e i più indifesi?

Proprio così! Noi scrivemmo all’Imperatore dicendo: «Siamo tuoi soldati ma anche servi di Dio, cosa che noi riconosciamo francamente. A te dobbiamo il servizio militare, a Lui l’integrità e la salute, da te percepiamo il salario, da Lui il principio della vita. Alzeremo le nostre mani contro qualunque nemico, ma non le macchieremo mai con il sangue degli innocenti. Noi facciamo professione di fede in Dio Padre Creatore di tutte le cose e crediamo che suo Figlio Gesù Cristo sia Dio».

Non c’è che dire, una lettera coraggiosa!

Che nasceva dalla convinzione che l’essere cristiani e, in modo particolare, vivere la condizione di soldato al servizio delle leggi di Roma ci rendeva leali cittadini, fedeli sudditi dell’Impero, ma anche difensori dei più deboli che si affidavano a noi per poter vivere e lavorare tranquillamente.

Nel contempo la fede in Cristo ci impediva di usare violenza verso le popolazioni inermi e di commettere soprusi gratuiti. Il servizio militare, obbligatorio per ogni cittadino romano, era parte integrante della vita, in quanto ogni maschio valido doveva impegnarsi a difendere Roma, a dif ondere le sue leggi, a espandere la civiltà che essa incarnava.

Resta il fatto che il vostro martirio affrontato coraggiosamente vi fa antesignani di tutti gli obiettori di coscienza. In più esso si è così impresso nelle vallate alpine che ancora oggi da quelle parti la devozione nei vostri confronti è molto viva e attuale.

È vero, seimila soldati passati a fil di spada perché si rifiutarono di uccidere inermi valligiani, civili indifesi, fu un fatto eclatante che rimase impresso nella coscienza di quelle popolazioni.

L’iconografia classica che si sviluppò successivamente ci rappresentò, infatti, come dei soldati con la palma del martirio in mano, lo stendardo con croce rossa in campo bianco, da cui la Svizzera si è ispirata per la sua bandiera, e la croce mauriziana dipinta sulle nostre armature.

La devozione popolare ha visto in ciascuno di noi, oltre che dei legionari fedeli all’Imperatore che avevano il compito di difendere il territorio loro affidato, delle persone che hanno avuto il coraggio di manifestare apertamente la fede cristiana in tempi non certo favorevoli a gesti simili.

Oltre a ciò la vostra vicenda ha dato origine anche all’Ordine Cavalleresco di San Maurizio, che fu fondato dalla casa dei Savoia quando questa conquistò per un certo periodo il Vallese.

Oltre a ciò i Savoia portarono a Torino parte delle reliquie della Legione Tebana, nonché la mia spada e il nostro simbolo, ovvero la croce mauriziana, conservati in una cappella della chiesa in cui è custodita anche la Sacra Sindone.

Oltre che della casa Savoia siete diventati i protettori anche di altre istituzioni?

Con i miei compagni siamo i patroni degli Alpini Italiani, delle Guardie Svizzere e delle truppe alpine dell’Esercito Francese. Le chiese dedicate a San Maurizio e ai Santi della Legione Tebana si diffusero, e sono presenti ancora oggi, in Valle d’Aosta, Piemonte, Francia, Germania e Svizzera. In quest’ultima nazione, nel Canton Grigioni, mi fu dedicata la città di Saint Moritz e anche in Francia molti paesi furono chiamati con il mio nome proprio per ricordare il valore e la testimonianza della Legione Tebana. La più celebre è Bourg Saint Maurice in Savoia e per non essere da meno anche in Piemonte vennero affidate alla nostra protezione San Maurizio Canavese vicino a Ivrea, nonché San Maurizio D’Opaglio nel novarese, dove, secondo la tradizione, eravamo transitati, e infine Porto Maurizio in Liguria.

Gli abitanti di queste città sanno che il loro patrono proveniva dall’Egitto?
Sì, credo che lo sappiano. 

La devozione per i martiri della Legione Tebea si è dif usa anche presso la Chiesa copta. 

Sì, quella copta è una Chiesa storica egiziana che venera non solo me, San Maurizio, ma tutti i miei valorosi compagni, le cui reliquie si ritrovano in numerose chiese sia in Europa che in Africa. 

Se non vado errato, qualche anno fa furono donate al Patriarca di Alessandria e di tutta l’Africa della Chiesa Copta, Papa Shenuda III, alcune preziose reliquie dei Santi della Legione Tebana (nel 1991). 

È vero, il nostro sacrificio ha aperto anche un originale cammino ecumenico in quanto altre Chiese orientali venerano i Martiri della Legione Tebea. Il martirio da noi subito è anteriore ai vari scismi succedutisi nella Chiesa attraverso i secoli. Anche nel mondo protestante c’è una devozione legata alla nostra testimonianza. 

Il vostro martirio alla luce della fede cristiana vi trasforma da perdenti in testimoni della fede, come per Gesù di Nazareth, il vostro sacrificio invece di essere visto come una sconfitta è diventato un segno di speranza per i cristiani di tutti i tempi.

La fede nella Risurrezione è questa: offrire la propria vita per essere fedeli fino in fondo ai valori del Vangelo che Cristo ci ha lasciato!

 

http://www.rivistamissioniconsolata.it – di Mario Bandera, Missio Novara