La natura della nostra vocazione consiste nel cercare Dio in tutti gli avvenimenti della giornata, in ogni incontro con gli altri.
Si tratta semplicemente di vivere il Vangelo nella quotidianità. Ciò non sarebbe particolarmente impressionante, né efficace per il pubblico. Non è nemmeno adatto ad essere amplificato dai media.
Nella mia vita vedo che non è semplice, poiché spesso sarebbe più facile annunciare il Vangelo a voce alta invece che viverlo.
Nel mio lavoro, nell’ambiente che mi circonda, incontro persone ferite che hanno fame di amore, che non di rado provano risentimento o indifferenza nei confronti di Dio. Incontro persone che anelano alla pienezza, all’amore, alla bellezza e all’armonia, cercandole in luoghi diversi.
Purtroppo solo raramente nella Chiesa. Talvolta la loro esperienza nella Chiesa, l’incontro con le “persone di Chiesa” per diverse ragioni le hanno ferite.
Quello che io e gli altri membri degli istituti secolari possiamo fare per queste persone è offrire loro la nostra semplice presenza, apertura all’incontro, aiuto quando è atteso.
Per questo occorrono competenza personale, preghiera silenziosa e non ultimo la propria vicinanza alla persona di Gesù Cristo.
Si tratta, come ha riassunto il Papa nel suo recente messaggio ai membri degli istituti secolari, “di abbracciare con carità le ferite del mondo e della Chiesa”.
Con il tempo questo atteggiamento porta speranza nella vita di una persona che prima, chiusa nel proprio dolore, si trovava davanti all’abisso della solitudine e della disperazione, spesso senza riuscire a intravedere una soluzione concreta, oppure incontrava enormi difficoltà a perdonare coloro che le avevano fatto un torto.
CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 20 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Ai padri sinodali si è rivolta venerdì 19 ottobre nella veste di uditrice anche la dottoressa Ewa Kusz, già presidente della Conferenza Mondiale degli Istituti Secolari – C.M.I.S.