La perfetta letizia


A quattro anni è già fidanzata.

Suo padre, il re Andrea II d’’Ungheria e la regina Gertrude sua madre l’hanno
promessa in sposa a Ludovico, figlio undicenne erede del sovrano di
Turingia. E subito viene condotta nel regno del futuro marito, per vivere e
crescere lì, tra la città di Marburgo e Wartburg il castello presso
Eisenach.

Nel 1217 muore il langravio di Turingia e a diciassette anni Ludovico
diventa re. Cosi nel 1221 può sposare solennemente la quattordicenne
Elisabetta.  Alla cerimonia lei non vuol portare la corona dicendo che non
si può presentare così a chi è incoronato di spine. Ma ora i sovrani sono
loro due e lei viene chiamata “Elisabetta di Turingia”.

Il marito teneramente innamorato di lei vuole subito mostrarsi degno di una
creatura così bella nel volto e nell’anima e prende per motto nel suo stemma
3 parole – pietà e purezza e giustizia – che saranno anche il loro programma
di vita. Insieme crescono nella reciproca emulazione, confortati nella
convinzione che il loro amore e la felicità che ne scaturiva erano un dono
sacramentale.

“Se io amo a tal punto una creatura mortale – confessava ad una domestica –
come dovrei amare il Signore immortale padrone della mia anima?”

A 15 anni è già madre . Nel 1222 nasce il loro primo figlio, Ermanno. 
Due anni dopo dà alla luce Sofia. Ma quando nel 1227 nasce Gertrude da tre
settimane è già vedova.

Ludovico si è adoperato per organizzare la sesta crociata in Terrasanta ,
perché papa Onorio III gli ha promesso di liberarlo dalle intromissioni
dell’arcivescovo di Magonza. Parte al comando dell’imperatore Federico II.
Ma non vedrà la Palestina: lo uccide un male contagioso a Otranto.

Così , vedova a vent’anni con tre figli, Elisabetta riceve indietro la dote,
e c’è chi fa progetti per lei: può risposarsi, a quell’età , oppure entrare
in un monastero come altre regine , per viverci da regina, o anche da
penitente in preghiera , a scelta. Questo le suggerisce il confessore. Ma
lei dà retta a voci francescane che si fanno sentire in Turingia , per dire
da che parte si può trovare la “perfetta letizia”.

Prima per i poveri offre il denaro della sua dote con cui costruirà un
ospedale. Poi offre loro l’intera sua vita. Questo per lei è
realizzarsi: facendosi povera tra i poveri. Visita gli ammalati due volte al
giorno, e poi raccoglie aiuti facendosi mendicante.

Dopo la sua morte, il confessore rivelerà che, ancora vivente il marito, lei
si dedicava ai malati, anche a quelli ripugnanti: ”Nutrì alcuni, ad altri
procurò un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre,
senza mettersi tuttavia in contrasto con suo marito“.

Collocava la sua dedizione in una cornice di normalità, che includeva anche
piccoli gesti “esteriori”, ispirati non a semplice benevolenza, ma a
rispetto vero per gli “inferiori”: come il farsi dare del tu dalle donne di
servizio. Ed era poi attenta a non eccedere con le penitenze personali ,che
potessero indebolirla e renderla meno pronta all’aiuto.

Vive nella povertà francescana e in questa poverta si ammala, rinunciando
pure al ritorno in Ungheria, come vorrebbero i suoi genitori, re e regina.
Muore in Marburgo a 24 anni, subito “gridata santa” da molte voci, che
inducono papa Gregorio IX a ordinare l’inchiesta sui prodigi che le si
attribuiscono.

Un lavoro reso difficile da complicazioni anche tragiche: muore assassinato
il confessore di lei e l’arcivescovo di Magonza cerca di sabotare le
indagini. Ma Roma le fa riprendere e la canonizza nel 1235 quando Elisabetta
avrebbe avuto solo 28 anni.


Memoria di Sant’Elisabetta di Turingia – 17 Novembre