La piu’ solitaria di tutte le creature

Pubblicato nel 1964, I tre Cristi di Milton Rokeach è una pietra miliare negli studi sulla schizofrenia, ma non è questo il vero motivo per cui lo si ristampa e lo si legge, divertiti e commossi, come un’opera di grande poesia.

L’ispirazione dell’eccezionale esperimento di cui racconta nei Tre Cristi, durato dal 1959 al 1961, gli era venuta dalla lettura di un aneddoto storico raccontato da Voltaire in una nota a Dei delitti e delle pene di Beccaria.

C’era un tempo in cui le vere scintille delle ricerche scoccavano da letture vaste e da scoperte casuali. Oggi questa è un’eresia, e lo stesso sistema di valutazione dei titoli accademici, le tanto lodate «quotations», non fa che scoraggiare ogni forma di libera avventura intellettuale, rinchiudendo gli studiosi nei loro asfittici loculi disciplinari.

Ad ogni modo, Voltaire raccontava di un pazzo vissuto verso la metà del Seicento, che si credeva Cristo. Quest’uomo viene rinchiuso in un ospizio dove incontra un altro folle, che a sua volta si definiva il «Padre Celeste». Questo incontro turba tanto il supposto Cristo, da causare un temporaneo rinsavimento. C’era abbastanza materiale, nella pagina di Voltaire, per suscitare il più vivo interesse in uno psicologo come Rokeach.

Chiunque ha avuto a che fare con forme di schizofrenia di tipo paranoide (il cui esempio più proverbiale è il paziente che si crede Napoleone) sa bene che è difficilissimo penetrare nella cortina di ferro di un delirio, per modificarlo anche solo in alcuni particolari. Si può dire che lo schizofrenico paranoide, murato nelle sue convinzioni, è la più solitaria di tutte le creature, mancando di ogni forma di empatia, e rendendo praticamente vano lo scambio linguistico. È una specie di irrimediabile ergastolo mentale.

Eppure, la storiella raccontata da Voltaire sembra indicare un modo diverso di osservare la questione. Evidentemente, in circostanze che si potrebbero definire «omeopatiche», si può verificare un cambiamento nei contenuti del delirio. Ciò potrebbe verificarsi, pensò Rokeach, mettendo a contatto dei pazienti dotati di convinzioni simili riguardo alla loro identità.

Dopo un’attenta ricerca negli istituti psichiatrici del Michigan, vennero individuati tre casi abbastanza simili da permettere l’esperimento. Clyde Benson, Joseph Cassel e Leon Gabor (questi sono i nomi fittizi che lo psicologo gli attribuisce nel libro) erano tutti e tre convinti di essere Gesù Cristo. Invitati a vivere nello stesso padiglione e ad affrontarsi nel corso di riunioni quotidiane, vennero registrati e osservati da Rokeach e dai suoi collaboratori con la massima attenzione a tutti quei cambiamenti prodotti dall’interazione. A partire dallo shock iniziale, che si può riassumere in una semplice domanda: se io sono Gesù Cristo, come è possibile che ci siano altre due persone in questa stanza che credono altrettanto di sè?

Non breve, la cronaca dell’esperimento di Rokeach si legge tutta d’un fiato, tra i misurati interventi di riflessione dello psichiatra e le irresistibili, e a volte geniali, dichiarazioni dei pazienti, che a modo loro, e nonostante l’inevitabile competitività generata dal confronto, sviluppano il sentimento di appartenere a un gruppo privilegiato, distinto da tutti gli altri pazienti dell’ospedale.«Sono Dio e ho uno psichiatra», esclama a un certo punto Joseph, «ma sarò un Dio ben diverso quando avrò riottenuto il mio potere».

Gli ideatori dell’esperimento, per conto loro, non dimenticano mai lo scopo principale della ricerca, che è quello di mettere alla prova «l’incapacità di interessarsi dei sentimenti altrui» tipica della schizofrenia cronica. Non perché sia dotato di un qualche «bello stile», qualità sempre discutibile e opinabile, Roekeach ha dato prova di essere un vero scrittore nei Tre Cristi. Semmai, il suo talento e il suo sapere collaborano nel rendere i tre protagonisti del racconto esseri umani nel senso più pieno della parola: unici, vale a dire, e imprevedibili nei loro sentimenti.

E se nessuno gli tolse mai dalla testa di essere Gesù Cristo, ognuno lo fece a modo proprio. Che è proprio quello che ognuno di noi può augurarsi dalle proprie personali follie.

12 gennaio 2013 – Corriere della Sera – Tratto da Lo strano caso dei tre profeti : Quando la scienza diventa poesia – di Trevi Emanuele : La ricerca voleva mostrare l’incapacità degli schizofrenici di interessarsi dei sentimenti altrui – Da Freud a Sacks, gli studi psicologici sopravvivono come letteratura

Tutto ebbe inizio quando Milton Rokeach, medico e psichiatra dell’ospedale pubblico della città di Ypsilanti, Michigan, tentò di studiare “l’estrema contraddizione in cui possa trovarsi la mente umana: quella in cui più persone reclamano la stessa identità”.

Per farlo, spulciò gli elenchi dei venticinquemila pazienti affetti da malattie mentali ricoverati nello stato del Michigan. Non trovando Napoleoni o Giulio Cesari ma soltanto falsi eredi dei magnati Ford e Morgan e una manciata di Biancaneve, fu sul punto di rinunciare. A un certo punto, però, la contraddizione si fece massima, viva, incarnata. Gli ospedali psichiatrici del suo stato raccoglievano all’incirca dieci Gesù, e per Rokeach fu l’occasione perfetta, tanto da selezionare dal gruppo i tre che ritenne più interessanti e adeguati ai suoi scopi.

I tre Messia dell’esperimento iniziato nel 1959 erano Clyde Benson, contadino settantenne avvezzo alle sbornie notturne che si presentò a Rokeach senza indugi: “Sono Dio” ; Joseph Cassel, scrittore fallito di 58 anni ricoverato dopo aver brutalmente picchiato i suoi familiari, che puntualizzò: “Io ho creato Dio”. Il terzo elemento era quello su cui Rokeach riponeva più speranze: Leon Gabor, trentottenne e veterano della Seconda guerra mondiale, che durante il primo faccia a faccia con il medico asserì soltanto: “Sul mio certificato di nascita è scritto che sono la reincarnazione di Gesù di Nazareth”.

Per un interminabile periodo di due anni, i tre Gesù condivisero notte e giorno la stessa stanza, uniti anche durante pasti e i turni di lavoro che effettuavano nella lavanderia dell’istituto, poichè Milton Rokeach era consapevole che nessuno può, da solo, far cambiare idea ad un uomo convinto di essere il Messia.

Le speranze dello studioso erano rinvigorite da un episodio raccontato da Voltaire. Nel suo commento allegato a “Dei delitti e delle pene” di Beccaria, lo scrittore francese riferiva di un caso analogo nella Parigi del 1663 e legato al vagabondo Simon Morin, che finì poi bruciato al rogo lo stesso anno per aver sostenuto di essere Gesù Cristo. Voltaire raccontò che “nel suo stesso manicomio era stato rinchiuso un altro matto che si definiva Dio Padre. Simon Morin fu così colpito dalla pazzia di quest’uomo che riconobbe la sua e per un certo periodo ritornò in sé, salvo poi ricadere nel nonsenso di prima” ed essere bruciato vivo.

A Ypsilanti, tuttavia, il momento cruciale sembrò presentarsi quando il medico, camminando per i corridoi bianchi dell’ospedale si trovò coinvolto in una scazzottata condita dalle urla frenetiche dei tre, impegnati a difendere le proprie ragioni a colpi di dialettica: “Devi adorarmi ti dico!”. “Non lo farò mai, tu sei una creatura, apri gli occhi e rassegnati a vivere la tua vita!”. “Io sono il Buon Dio!!!”. Dopo la rissa e altri battibecchi che andarono via via diradandosi nel tempo, lo psichiatra pensò di aver raggiunto un traguardo molto importante quando Leon Gabor, il veterano di guerra, cambiò il suo biglietto da visita da “Dr Domino dominorum et Rex rexarum” a “Sir Simplis Christianus”.

Non passò molto tempo, però, che Rokeach si rese conto di non aver sortito alcun effetto significativo, poichè Clyde Benson era convinto che i suoi contendenti fossero tutt’altro che vivi, bensì involucri con “delle macchine che parlano dentro al corpo”. Dal canto suo, Gabor reputava i colleghi come degli “dei con la D minuscola”, mentre ad avere l’unica spiegazione apparentemente molto logica e sensata era lo scrittore Joseph Cassel: se davvero gli altri erano il Messia, non sarebbero certamente stati ricoverati in un manicomio.

L’ultimo avvenimento di carattere tragicomico, segnò per Milton Rokeach il fallimento totale del suo esperimento: i tre pazzi smisero improvvisamente di litigare e si limitarono a parlare d’altro. Per il medico, l’unica soluzione possibile per evitare egli stesso di essere contagiato da cotanta surreale follia, fu quella di liberare, ognuno per la propria strada, i tre Cristi di Ypsilanti.

dal FOGLIO QUOTIDIANO di Simone Trebbi