La sua conversione

Jacques Fesch (1930-1957), nato in una famiglia dell’alta borghesia francese antisemita, fu da essi prima viziato, poi, dopo il matrimonio con la moglie ebrea, abbandonato.

Andò a lavorare dal suocero, industriale di successo, ma fu licenziato e allontanato dalla moglie, che poteva vedere solo in una stanza d’albergo. La madre gli donò dei soldi per aprirsi un’attività, ma li sperperò comprandosi un’auto sportiva.

Decise allora di partire per un viaggio verso le isole indiane, di cui ricordava i racconti fiabeschi che il padre faceva quando lui era piccolo. Il 25 febbraio 1954 per l’acquisto di una barca tentò una rapina di oro in un negozio di un cambiavalute ebreo.

Mentre questi era girato, lo colpì alla testa con il calcio della pistola, partì un colpo che lo ferì a una mano. In preda al panico fuggì con una cospicua somma di danaro. Nella fuga perse gli occhiali che correggevano la sua forte miopia. Il quartiere venne circondato. Braccato, Jacques cercò di aprirsi un varco a colpi di rivoltella. Non vedendo bene, ferì un passante e un agente di polizia. Ad un altro sparò da sotto l’impermeabile e lo colpì mortalmente.

Si era fatto aiutare nell’impresa da due noti malviventi i quali riconosciuti dalla polizia per sviare i sospetti su di loro lo descrissero con precisione e indicarono la direzione della fuga. Acciuffato poche ore più tardi all’uscita del metrò, venne rinchiuso in carcere e processato. Il verdetto non lasciò appello e venne ghigliottinato, come era uso in Francia, tre anni più tardi, nel 1957.

Dopo la sua morte vennero dati alle stampe il diario tenuto in carcere, in Italia “Il Giornale Intimo”, e le lettere inviate agli amici e parenti dalla prigionia, che testimoniano la sua conversione.

Nel 1993 l’Arcivescovo di Parigi, il cardinale Jean-Marie Lustiger, ha dato il via alle pratiche procedurali per l’istituzione del processo di beatificazione.

Le testimonianze raccontano che al momento di salire il patibolo Jacques Fesch non pronunciò che queste parole a mezza voce: “Signore, non abbandonarmi”.