Noi vogliamo comprendere oggi il significato di “Lavorare”, per naturare il suo senso e lavarlo dalle influenze e contaminazioni moderne.
Lavorare è un’azione sapiente che in origine sembra avere avuto a che fare con il prendere qualcosa afferrando, per ottenerne la conquista e il possesso, un afferrare manuale volto alla presa, possiamo dire: all’affermazione.
Lavorare ha la sua radice in “rabh”, che indica un movimento violento del corpo, un desiderio dell’animo, un rapimento improvviso, un raptus.
Per analogia questo sforzo, perché di violenza si tratta, non si inserisce nel movimento naturale delle cose, ma è un’applicazione aggiuntiva all’azione della natura.
Dio lavorò per creare il mondo. Esso non si creò da sé ma ebbe origine da un lavoro, cioè da una fatica, termine al quale gli antichi romani ridussero poi il significato della parola.
Per questo ebbe bisogno di riposarsi, per tornare al flusso naturale del tempo.
Se il lavoro è sforzo è perché una forza viene applicata a vincere un’opposta resistenza. Secondo noi questo sforzo non è vano solo se si tratta di lavoro. Noi lavoriamo se realizziamo, cioè rendiamo reale, realtà visibile e tangibile, il nostro sforzo. Questo è il suo frutto. Altrimenti sciupiamo la forza, la vanifichiamo, rendiamo vuota la sua azione. Il lavoro invece è pienezza per definizione, in esso ritroviamo in forma diversa da quella originale la stessa forza che lo ha prodotto.
Ecco, il prodotto, qui vogliamo arrivare: è dunque prima afferrato cioè tolto dalla sostanza informe e poi affermato cioè fissato nella sua forma visibile. Esso perciò contiene in sé l’energia, che lo ha generato.
Vogliamo ora esaminare la natura di questa energia.
Il pittore, lo scultore, l’artista così come l’operaio, il contadino, o il disegnatore producono, cioè portano alla forma finale, una materia di per sé vuota e mancante; essi compiono semplicemente e in maniera essenziale un raptus rigenerante.
La forma infatti per essere tale richiede tensione tra le sue parti : esse si oppongono e si equilibrano senza prevalere reciprocamente. Noi percepiamo perciò anche la tensione tra le sue parti, il suo stile impredicibile, l’idea del suo autore.
Questa azione, che è il dare la vita, richiede certamente intelletto e una libera volontà decisionale. Ma il frutto, questo sì, ha in sé qualcosa di bello che nessun’altro può progettare.
È qualcosa che abbiamo dentro noi stessi, diverso per ciascuno di noi. È l’amore per la vita e per gli altri, è il desiderio di un futuro più grande. È il pensiero che tutto comprende, un paradiso di luce e di gioia dove un giorno desideriamo arrivare.
Intelletto, volontà ed energia sono quello di cui siamo tutti dotati. Oltre a questo mettiamo l’amore, non possiamo esistere senza.
Dice il Siracide infine :”Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, ad ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà”.
Scegliamo la vita, innoviamo, curiamo, produciamo con tutto noi stessi, trasmettiamo quella forza d’amore che un giorno ci ha strappato alla morte.
Lavorare è creare pregando.