Le anime morte

Nikolaj Vasil’evic Gogol’

“Sempre nella vita, dovunque, fra gl’irti strati suoi piú bassi, ruvidi di miseria e bruttati di muffa, o tra le freddamente uniformi, noiosamente forbite classi superiori – dovunque, almeno una volta, interviene sul cammino dell’uomo un’apparizione, dissimile da tutto quello che gli è accaduto di veder finora; e, almeno una volta, desta in lui un sentimento, dissimile da tutti quelli ch’è destinato a provare nel corso della vita”.

 

 

Poema satirico in prosa, Le anime morte, il cui primo volume uscì nel 1842, è un’opera davvero tormentata, incompiuta a causa della prematura morte dell’autore. L’opera risulta essere un realistico e preciso dipinto della Russia contadina e zarista, tutta imbrigliata in un complicatissimo apparato burocratico ereditato dalle riforme di Pietro il Grande. L’intenzione dell’autore era quella di realizzare, più che un romanzo, un vero e proprio poema: affascinato e colpito in modo eccezionale dalla lettura di Dante durante il suo soggiorno in Italia, Gogol’ voleva realizzare un’opera in tre libri, tutta improntata al vero spirito russo. Essa infatti contiene in sé veri e propri momenti lirici enfatizzati dal romanticismo di Gogol’.

Il libro narra le vicende dell’enigmatico Pavel Ivanovic Cicikov, che viaggia attraverso la Russia zarista con l’intento di acquistare a buon prezzo le “anime morte”. Con questo termine si indicano quei servi della gleba morti dall’ultimo censimento e per i quali i proprietari continuano a pagare il testatico fin quando non ne verrà registrata la morte nel successivo censimento. Čičikov punta così a crearsi, con il minimo sforzo, un numero di servitori “fantasma” così elevato al punto tale che, ipotecandoli, possa costituire un grosso capitale.

Questa idea semplice e diabolica cerca la sua attuazione in una capitale di governatorato popolata da personaggi pittoreschi, notabili cittadini o piccoli proprietari terrieri, tutti portatori di un vuoto morale che li fa sembrare spesso più morti di quei servitori che vengono rievocati e che sono l’oggetto delle trattative.

Il romanzo costituisce effettivamente un incisivo affresco della Russia rurale e provinciale quale si offre agli occhi del protagonista attraverso i proprietari, le case, le locande, i cocchieri, i contadini, i notabili di provincia. Spiccano tra i molti personaggi i proprietari che Cicikov via via incontra: il fatuo Manilov, sentimentale e vuoto; la vecchia Korobocka, parsimoniosa e sospettosa, l’invadente Nozdrev, mitomane e ubriacone, l’unico che comprende l’astuta strategia di Cicikov e non gli vende anime; Sobakevic, l’uomo alla buona, grossolano, ma accorto negli affari; Pliuskin, il prototipo dell’avaro.

Cicikov a un certo punto riesce a passare per milionario nella città dove ha preso dimora, viene adulato, corteggiato e ogni porta gli è aperta. Ma lentamente la verità viene a galla e Cicikov è costretto a partire.

Il suo “piano” infatti, che sarebbe dovuto rimanere segreto per avere una piena e soddisfacente realizzazione, alla fine non ottiene i risultati sperati, poiché la verità viene a galla, anche a causa dell’avida Korobočka, che, dopo aver venduto delle anime morte a Čičikov, arriva in città per chiedere il valore di mercato di queste anime per paura di averci rimesso. L’unica soluzione per Cickov è pertanto la fuga, che vanifica tutti gli sforzi fatti sin lì.

Definito dalla critica romanzo realista, a Gogol’ tale definizione non piacque: preferiva si parlasse di “poema in prosa”: Gogol’ è straordinario nel mostrarci l’uomo nelle sue contraddizioni e nei suoi lati grotteschi. La sua descrizione della vita negli uffici e nelle campagne e il suo ritratto di una società di burocrati, lestofanti, arrivisti e scansafatiche valgono più di cento trattati di management.

Molto belle e, direi, ancora attuali, le descrizioni che fa Gogol’ della vita cittadina, piena di insidie, di richiami, di allettamenti, di stimoli vari e nuovi: un variopinto, continuo pulsare di caotica vitalità.

A volte basta una sfumatura, una indecisione a mutare un destino; il passaggio dalla polvere all’altare e viceversa, l’alternarsi sempre mutevole dell’ umana fortuna nella vita degli individui, sembrano legati all’imperscrutabile alchimia di vizi e di virtù personali e alle condizioni storiche in cui gli uomini si trovano ad operare.

L’essere umano è fragile, sottoposto a mille appetiti e passioni, che lo rendono corruttibile. Il denaro sembra possedere una forza demoniaca. Come scrive l’autore in una celebre pagina dell’opera,

“è sufficiente, di dieci lati, averne uno un po’ sciocco, per esser spacciato imbecille a onta dei nove buoni. Ai lettori riesce facile trinciar giudizi guardando dal loro angolo tranquillo, da una sommità da cui è tutta aperta la visuale su tutto quanto avviene in basso, dove l’uomo scorge soltanto gli oggetti vicini. Anche negli annali universali dell’umanità vi sono addirittura molti secoli, che, si direbbe, andrebbero cancellati e annullati, come superflui. Molti errori si sono compiuti a questo mondo, tali che, si direbbe, ora non li farebbe neppure un bambino. Che strade tortuose, cieche, anguste, impraticabili, lontane dal giusto orientamento, ha scelto l’umanità nel suo conato di pervenire alla verità eterna, mentre pure aveva innanzi tutta aperta la retta via, simile a quella che conduce alle splendide stanze, destinate all’imperatore in una reggia! Piú larga di tutte l’altre vie, piú fastosa era questa, rischiarata dal sole e illuminata tutta notte dai fuochi: ma fuori di essa, nella fitta oscurità, ha proceduto il flusso degli uomini. E quante volte, già guidati da un pensiero che scendeva dai cieli, essi hanno ancora saputo deviare e smarrirsi, hanno saputo nel pieno fulgore del giorno cacciarsi un’altra volta nei fondi impraticabili, hanno saputo un’altra volta spandersi l’un l’altro negli occhi una cieca nebbia, e vagando dietro ai fuochi fatui, hanno pur saputo spingersi fin sull’orlo dell’abisso, per poi, inorridendo, domandarsi l’un l’altro: – Dov’è l’uscita? dov’è la via? – Ora tutto appare chiaro alla generazione che passa, e si meraviglia degli errori, ride della semplicità dei suoi antenati, e non vede che un fuoco celeste irradia tutti questi annali, che grida da essi ogni lettera, e che di là, penetrante, un dito s’appunta proprio su essa, su essa, la generazione che passa. Ma ride la generazione che passa, e sicura di sé, orgogliosa, dà inizio a una nuova serie di errori, sui quali a loro volta rideranno i posteri.”