Khalifa ha ventisette anni ed è senegalese. Arrivò in Italia nel 2004 per ricongiungersi col padre. Si è diplomato come perito elettronico e frequenta il corso di Marketing e organizzazione dell’impresa all’Università di Reggio, secondo anno fuori corso. Ha fatto decine di lavori, e da otto mesi è all’ufficio marketing della Spei.
Come sei arrivato qui?
Un giorno ero in treno con amici, tra cui Concetta, che lavora con la nipote di Stefano in un centro giovani di formazione apprendisti. Cercavo lavoro, e mi disse che le avrebbe parlato, così sono arrivato a fare il colloquio alla Spei, lo scorso marzo, dopo che Stefano mi chiamò. L’8 aprile ho iniziato a lavorare.
Com’è stato il colloquio?
Quel giorno ci ho messo tre ore a trovare la Spei: a Modena ci sono due vie Cattaneo, arrivai dall’altra parte della città. Stavo per mollare. Fortuna che una signora riuscì ad indicarmi la via giusta, altrimenti avrei mandato tutto all’aria. Di colloqui ne ho fatti almeno due, Stefano diceva che “mi avrebbe fatto sapere”.
Sei cristiano o musulmano?
Musulmano praticante. Quando sono entrato qui dentro ho visto Gesù Cristo dappertutto: al primo impatto ho pensato che avevo a che fare con un prete. Si vedeva che era il luogo di un credente, forse di un fanatico. Lui sapeva che ero musulmano. Mi disse che Dio era unico e che bisogna cercare di essere sinceri, seri, e sapere quello che si vuole. Mi parlò di Giovanna d’Arco in maniera approfondita, e delle “cinque leggi” che bisogna avere per essere tranquilli e raggiungere gli obiettivi della Spei, per avere successo: il volontariato, la cura di sé (“dare e ricevere”), l’insegnamento, la preghiera e il lavoro. Se segui queste regole ti trovi bene alla Spei.
Stefano ti ha messo subito davanti ad una scelta, prendere o lasciare queste cinque regole?
Non è stato un bivio. Ha detto che mi avrebbe fatto un contratto. Mi avrebbe dato la possibilità di lavorare dicendo che le regole erano quelle. Mi ha preso nel settore marketing.
Hai cercato di rispettare le cinque leggi?
Sono valori che appartenevano già al mio bagaglio: “aiutare il prossimo” è un precetto del Corano, l’“insegnamento” si può ricevere da chiunque, anche da un bambino – si chiama “umiltà”. La preghiera già la facevo cinque volte al giorno.
Stefano dice sempre al colloquio che i soldi li dà Gesù. Anche a te ha detto così?
Sì, ha detto che i soldi li dà Gesù, e che è Gesù a far venire la gente alla Spei: tra l’altro disse che io sono nato lo stesso giorno della ditta, il 22 febbraio, e che questo significava qualcosa.
Tu però in Gesù non ci credi.
Crediamo che sia stato un profeta, ma che non è Figlio di Dio, perché Dio non ha figli. Gli dissi che i soldi li dà Dio e che li passa “fisicamente” tramite altre persone. Ne sono convinto. È come un passaparola: il destino è già stato scritto e si avvera attraverso scambi tra le persone. Ogni cosa che faccio su questa terra è Dio che me la dà, è scritto nel mio destino. Questo è il mio credo.
Hai avuto cambiamenti negli ultimi cinque mesi? Con te stesso, con Dio, con le persone…
Con le persone sì… Stare qui mi ha insegnato ad essere paziente, già dal primo giorno, quando impiegai due o tre ore per trovare l’ufficio. È un insegnamento che mi dice «Con la pazienza puoi raggiungere gli obiettivi». Nei lavori precedenti svolgevo sempre le stesse mansioni, dovevo essere paziente ma era routine. Alla Spei è uguale ma un po’ diverso: dopo il buio viene la luce: fare tre colloqui significa avere pazienza. In ufficio, Stefano cambia continuamente idea di lavoro: c’è sempre cambiamento, anche nelle mansioni, non c’è mai una cosa lineare da fare. Lui non è matto, ma destabilizza il suo lavoratore. Cambiare idea significa ripartire da zero, e tutto l’impegno che ho messo nel passato non conta più: se tu non hai la pazienza non hai più voglia di poter continuare. Fuori c’è la crisi, grazie a Dio ho questo lavoro, però qui dico sempre quello che penso, nel bene e nel male: io e Stefano ci confrontiamo.
Oltre che con Stefano, hai imparato la pazienza anche nel rapporto con gli altri dipendenti?
Sì, quando ci sono interazioni con altra gente bisogna sempre usare la pazienza.
Nel futuro ti vedi ancora qui? Ti piacerebbe rimanere o trovare altro?
Non lo so, proprio non lo so. Credo nel destino: come i soldi li dà Dio attraverso le persone, così sarà Dio a decidere se devo rimanere qui o andare da un’altra parte, indipendentemente da me.
25/09/2014