MI SONO SENTITO PRESO IN GIRO

Fabio ha una quarantina d’anni e vive nella provincia di Monza. È arrivato a Modena in treno un giovedì dello scorso giugno per fare il colloquio con Stefano. In un’intervista telefonica notturna racconta il suo incontro “poco allegro” con la Spei, offrendo il suo punto di vista critico sull’atteggiamento e i discorsi visti e sentiti.

Come e quando sei arrivato alla Spei?

Ho scoperto la Spei a Modena, quando sono arrivato in treno apposta dalla provincia di Monza. Ho avuto il contatto di Stefano tramite mia madre, che a sua volta lo aveva avuto da una conoscente, il cui figlio, ritrovatosi senza lavoro e caduto in depressione, era stato aiutato. Alcuni mesi fa mi ero ritrovato in una situazione abbastanza simile, ero molto giù di morale, così mia madre mi spinse a chiamare Stefano, dicendomi che era una brava persona, educata, che avrebbe potuto ascoltarmi e aiutarmi.

Chi è la signora amica di tua madre?

Non conosco il suo nome, onestamente non mi interessava. Mia mamma mi ha solo dato l’informazione ed io, essendo dell’idea che è sempre meglio “provare” invece che stare a casa a girarsi i pollici, ho deciso di andare a Modena ad incontrare Stefano, che mi aveva dato un appuntamento nel suo ufficio. Prima di partire gli avevo chiesto al telefono di cosa si trattasse, volevo avere qualche indicazione sul lavoro, visto che sarei dovuto venire apposta col treno. Mi aveva detto di non preoccuparmi, perché avremmo parlato di tutto di persona in ufficio. Avevo pensato che volesse offrirmi qualche lavoro in nero, tale per cui non potessimo parlarne al telefono. La mia esigenza era il lavoro, non fare psicoterapia o parlare con qualcuno: se avessi voluto quello avrei cercato dalle mie parti. Ho preso il treno e sono venuto a Modena: dalla stazione, Stefano mi ha portato nella sede. Appena entrato in quella stanza, dove c’erano immagini della Madonna ovunque, mi si è gelato il sangue. Pensavo di essere finito dentro a quelle “cose”: sono cattolico a modo mio, e per me certe cose sono pagliacciate. Io cercavo lavoro. Stefano è stato gentile con me, non posso dire il contrario, ma mi ha fatto un po’ arrabbiare il fatto d’avermi chiesto prima un riassunto della mia vita – problemi, difficoltà, relazioni con la famiglia, se questa mi avesse aiutato e stimolato a cercare lavoro – poi è voluto entrare nel mio intimo, scavando un po’ sulle parti fragili. Lo dico sinceramente, io ho fatto psicoterapia per quattro anni, quindi “non casco dal pero”: capisco quando qualcuno vuole andare a toccare delle corde fragili. Poi, un conto è toccarle per lavorare su di me, un altro per volermi coinvolgere in qualcosa che per lui ha un fine. E il fine è stato chiaro quando, entrate in ufficio altre persone, Stefano ha fatto vedere un filmato su San Patrignano. Conosco bene una realtà come quella, avendo passato quattro anni della mia vita in una comunità di recupero…

Per droga?

Sì, esatto. Un argomento che non serve tanto spiegarmi.

Un attimo: dopo il colloquio personale Stefano ha fatto entrare nella stanza altre persone?

Sì, e ha cominciato a fare a tutti un discorso di tipo filosofico. Stavo attento a capire quale fosse il suo obiettivo perché, parlandoci chiaro, a questo mondo nessuno dà niente per niente: chi ti fa lavorare e ti paga è perché ha bisogno di te. Ero venuto per cercare un lavoro. Il discorso di Stefano serviva per farci capire che aveva sposato il “modello San Patrignano”, un luogo dove i tossicodipendenti vengono accolti, non pagano un soldo, e la comunità si finanzia con l’autoproduzione interna: i tossici che entrano vivono e lavorano lì senza guadagnare un euro. Stefano ha insistito su questo punto, paragonando il loro modus con quello della Spei: «Siete persone in difficoltà, in qualsiasi tipo di difficoltà – non gli avevo parlato della mia ex tossicodipendenza – e piuttosto che stare a casa depressi a tentare il suicidio, mi rendo disponibile ad insegnarvi a lavorare col CAD». Stefano poi ti noleggia ad altre aziende per andare a fare disegni meccanici.

 

Ti è stato proposto un lavoro?

Assolutamente no. Stefano mi ha proposto di farmi imparare a disegnare col Cad, da lui o da altri, con il discorso che sarei dovuto eventualmente venire a vivere a Modena… Le altre persone in ufficio erano già in ballo a fare questa cosa. I discorsi sono stati molto vaghi, ma ricordo che c’era uno – non ricordo il nome, mi spiace – che l’indomani sarebbe dovuto andare a lavorare per un cliente su richiesta di Stefano, ma non voleva: così Stefano gli disse che se non avesse accettato gliene sarebbe passato davanti un altro, io per esempio: «Ci metto Fabio»…

Ti ricordi chi era quella persona?

Era un tipo piuttosto tracagnotto, che parlava poco, con un’espressione un po’ tonta… Finiti questi discorsi, rimaniamo in ufficio solo io e un altro, anche lui alla Spei per la prima volta [Enrico Triolo]. Stefano ha cominciato con discorsi tutti legati alla Madonna, alle apparizioni… Poi ha preso un libro [“I messaggi di Medjugorje”, ndr], me l’ha dato in mano, mi ha detto di sfogliarlo e me ne ha fatto leggere un pezzo. Poi mi ha chiesto: «Cosa senti?». Io non sentivo niente. Allora mi ha detto di rileggerlo, per richiedermi cosa avessi sentito, perché “era la Madonna che mi stava parlando”. Purtroppo non sentivo niente, sarà che stavo pensando ad altro. Roba del genere. Poi Stefano ha cominciato a fare dei discorsi sui miracoli, della serie “Gesù alla Spei fa i miracoli con le persone”. Poi ha detto di essere stato presente durante delle apparizioni in cui erano accaduti dei miracoli… Delle cose che per me non hanno senso. Da come si poneva, Stefano faceva capire che i miracoli li faceva lui. Anche per la disposizione della poltrona su cui ero seduto, molto distante dalla sua scrivania, tanto che lo faceva sembrava su un altare, con quella Madonna lì davanti… Era diventato imbarazzante stare lì dentro. Il finale della storia è che, prima di uscire dalla stanza, ci ha fatto dire un’Ave Maria: e in mezzo a tutta la giornata è stata la cosa più buona.

Ti ha dato fastidio dire quella preghiera?

Molto, molto fastidio. Perché non è cosa.

E dopo ti ha riportato alla stazione?

Prima siamo scesi dall’ufficio a fare l “apericena” [un aperitivo settimanale organizzato dalla ditta, ndr], raccontando che la signora proprietaria del bar [Gianna Cuoghi] aveva intenzione di chiudere l’attività, ma dopo avergli parlato “è avvenuto il miracolo”, lasciando intendere di averle salvato il locale. Anche in quel caso parlava di “miracoli”, tanto che pensavo davvero di trasferirmi a Modena per averne qualcuno anch’io! Non gli ho mai risposto a tono perché doveva riaccompagnarmi in stazione e non volevo rimanere a piedi. Poi basta.

Come siete rimasti?

Mi ha lasciato un libro della Spei, che a casa ho buttato nell’immondizia. Non l’ho neanche aperto. Per il culo non mi prende nessuno… Stefano mi aveva lasciato il compito di pregare, non mi ricordo neanche per quale cosa che sarebbe dovuta succedere… Eravamo d’accordo che ci saremmo risentiti una settimana più avanti perché voleva sapere “come andava il cambiamento”, perché sicuramente “ci sarebbe stato un cambiamento”. Guarda, io di cambiamenti ne ho avuti recentemente, nel senso che ho un contratto di lavoro, pur precario, fino al 7 agosto… Sarà “il miracolo” di avere parlato con Stefano, non lo so, o “della Madonna”… Magari, non lo so!

Quando hai trovato il lavoro?

L’ho trovato la settimana dopo il colloquio, tramite una cara amica della mia ragazza. Insomma, una raccomandazione… Lavoro in un’azienda che fa integratori alimentari per animali, faccio il magazziniere e un po’ di produzione, fino al 7 agosto. Poi si vedrà.

 

Molti di quelli che sono passati dalla Spei e poi non sono rimasti, nel giro di una settimana hanno trovato il lavoro da un’altra parte…

Guarda, anch’io nei momenti di disperazione più totale della mia vita ho pregato, anche da solo, perché non sapevo più cosa fare. Poi, ovviamente, non è che si prega e il giorno dopo succedono le cose, come scrocchiando le dita… Da bambino andavo a Messa ogni domenica, con mio padre, facevo il chierichetto. Poi quando ho iniziato a lavorare, a capire come realmente funzionava la vita, ho perso la fede. Non è che non credo più, ma penso siano tutte sciocchezze: alla fine, se non lavori e non porti a casa la pagnotta e non stai bene di salute, cosa c’è? L’ho vissuta così, poi con tutto quello che mi è capitato… Persone che sono in una situazione disperata in quel momento non hanno una testa come quella di Stefano, perché lui la vede come una cosa imprenditoriale, ma la gente quando è nella [merda] si attacca a qualunque speranza…