Noi siamo chiamati a generare speranza

Ognuno di voi qui è stato chiamato. E’ una esperienza che tutti potete dire di aver provato. Anch’io lo posso dire per me e per voi. Ma oggi possiamo dire di più : che qui siamo chiamati insieme cioè siamo riuniti. Perché? Perché pur venendo da posti, esperienze, vite diverse siamo qui e contemporaneamente? C’è un motivo per tutto questo? Cosa è successo nella nostra vita da quando siamo qui? Qualcosa è cambiato, magari non sono cambiate le condizioni materiali, ma il senso, la prospettiva, la speranza, sì.

Ecco, noi siamo chiamati a generare speranza.

Speranza per chi non ha una casa perché viene da un paese lontano, speranza per chi non ha un lavoro, perché l’ha perso o non l’ha mai ottenuto, speranza per chi non ha una famiglia. Questi sono esempi di speranza e noi siamo chiamati a generare speranza.

La speranza non è ottimismo. E’ qualcosa di più. E’ la certezza che la vita è cambiata, che non sarà più come prima.

Quando guardiamo la nostra vita la percepiamo nella speranza come se fossimo già usciti dal mondo in cui eravamo.

Come è stato possibile questo? Siamo entrati in contatto con Gesù : il solo sfiorare la sua presenza ci ha permesso di aprire gli occhi e l’orizzonte si è fatto improvvisamente profondo e denso, ricco di nuove opportunità. Ma ciò che conta è che sentiamo di non essere più soli. Lui è con noi!

E come è iniziato tutto questo? Come siamo entrati in contatto con Gesù? Nella preghiera innanzitutto, luogo preferenziale della richiesta, della confessione, del pianto. Da lì è partito il dialogo.  Ed ecco che improvvisamente oggi ci accorgiamo che Dio ci parla nei segni della vita, negli incontri mai casuali, nelle parole profetiche, lette o pronunciate, nei luoghi in cui siamo chiamati.

Ecco che la vita si riempie, si popola addirittura, dei segni meravigliosi di questo dialogo.

E noi non dobbiamo smettere di pregare se ci sembra di aver raggiunto già il nostro scopo perché abbiamo scoperto che quello che abbiamo chiesto era solo il pretesto per andare con Lui in una dimensione nuova, nella dimensione che Lui ha pensato, progettato potremmo dire, per noi. Perché Gesù a questo punto ci chiede la cosa più bella e difficile : abbandonarsi a Lui. Abbandonarsi è prima di tutto rinunciare ai nostri desideri e anche ai nostri stimoli, perfino alla nostra natura.

E poi c’è la dimensione della sofferenza interiore, saper guardare dentro noi stessi, voltarsi verso la verità senza nasconderla, e questo non una volta, ma per tutto il tempo che viviamo, cioè per tutto il tempo che Lui ci ha dato, quello che serve, perché la verità per quanto fonte di sofferenza ci renderà liberi di amare. Solo sapendo i nostri limiti umani ed accettandoli soffrendo siamo veramente liberi di donare qualcosa al prossimo. Altrimenti rimaniamo fermi a combattere dentro noi stessi e non abbiamo tempo per gli altri.

Allora i momenti dell’azione della speranza sono tre :

1)      la preghiera, che ci mette in comunicazione con Dio e che è una preghiera gravida di speranza,

2)      l’abbandono a quello che ci capita, l’accettazione in sostanza, il momento del “io credo”

3)      la sofferenza, come dimensione che purifica il nostro cuore. 

Forgiati da questo percorso, siamo pronti per dare tutto noi stessi all’altro perché nell’altro viviamo l’ultimo momento di questo cammino : la gloria del Signore.

Ma allora chi è l’altro? “L’altro” dobbiamo chiederlo a sua volta, perché “l’altro” non può essere chi scegliamo noi, ma è invece chi ci viene incontro, chi ci viene mandato, chi ci chiama.

Ma allora -ecco una vera scoperta-  l’altro è’ Lui! E’ Gesù! E’ Gesù che ci viene incontro, che ci chiama, che ci aspetta e che ha bisogno di aiuto..dove? nel povero, nel disperato, nel senza-tetto, nel disoccupato, nel malato, nel carcerato, e noi lo aiutiamo prendendolo fra le braccia e nel prenderlo tra le braccia scopriamo –miracolo- che è Lui in verità che sta prendendo in braccio noi.