Un dono l’aver bisogno di altri per camminare, poi per mangiare, magari anche infine per lavarsi? Che cosa assurda.
Anzi non è forse proprio la nostra più grande paura, insieme alla solitudine, l’immaginare di non poter più badare a noi stessi? Di dover aspettare una badante semplicemente per due passi sotto casa – su quella stessa strada che da ragazzi facevamo di corsa e ora, cos’è stato?, si è fatta lunga, e faticosa come fosse diventata una erta salita.
Che cose strane, davvero, dice il Papa: e sembra quasi parli di mondo capovolto, in cui la realtà è altra dall’apparenza su cui tutti concordiamo. Ma allora questo dono, cosa sarebbe? È l’imparare, almeno a ottant’anni, «che nessuno può vivere solo e senza aiuto», spiega Benedetto. (C’è chi lo impara molto prima, e chi mai, finché non ci è costretto). E’ l’imparare, come dice un verso di Holderlin, che «noi siamo un colloquio». Cioè non monadi tese a realizzare solo se stesse, come ci viene comandato di questi tempi, ma inesorabilmente tesi al rapporto con l’altro.
E forse più radicalmente ancora, quel bisogno della vecchiaia ci riporta alla nostra origine: creature, e dunque figli di un Creatore. Intollerabile insegnamento, se ci si è creduti per tutta la vita i padroni di sé.
Eppure, insiste il Papa dai suoi ottantacinque anni, quel bisogno di aiuto portato dalla crescente debolezza, è davvero un dono. Perché ci riporta alla verità di ciò che profondamente siamo, a un’impronta che abbiamo addosso. Figli.
Da giovani, è quasi naturale che ce ne dimentichiamo, nell’età forte dell’innamoramento, dei sogni, del mondo immenso davanti; e del fascino del denaro, e del potere. Ma viene un tempo di impotenza e povertà, che, testimonia Benedetto, è in realtà tempo di misericordia. Tempo per ritornare ciò che siamo.
Come quella vecchia signora incontrata in un grande ospizio di Milano, un giorno, sola, in un corridoio. Una donna esile, fragile, gli occhi chiari, limpidissimi; e smarrita nella demenza senile. «Scusi – ha chiesto a me che, sconosciuta, passavo – sa a che ora viene a prendermi la mamma?» E io non sapendo proprio cosa dire mi sono seduta lì accanto. Lei continuava a ripetere, fiduciosa, che la mamma certo sarebbe arrivata, prima di sera, a prenderla. Che abbia ragione lei, mi sono chiesta, con quei suoi occhi, misteriosamente di nuovo infantili? Che abbia ragione, il Papa? Forse davvero novant’anni sono il tempo che ci è dato, per poter tornare infine come bambini.
Tratto da “Il tempo che ci è dato” di Marina Corradi – Avvenire.it