Christian, classe 1984, ha un diploma in chimica e biologia e lavora nella Wind dal 2009. Originario di Napoli, che ha lasciato dieci anni fa per stabilirsi a Bologna con un amico, è sposato dal 2012 con una bella ragazza di Brindisi, conosciuta sul lavoro. Distinto, gentile ed apparentemente riservato, racconta dei suoi primi incontri con Stefano e del suo 2014, anno per lui di grandi cambiamenti.
Come sei arrivato alla Spei?
Mi arrivò una segnalazione tramite il nostro call center, nel giugno 2014. Pesaresi richiese il contatto di un commerciale Wind per una consulenza sulla telefonia.
Dunque sei arrivato con un appuntamento.
Esatto, un appuntamento già fissato.
Ricordi se quel giorno era un giovedì?
Non ricordo di preciso, ma posso dirtelo domani quando arrivo in ufficio: mi basta guardare la data del contratto che firmammo quello stesso giorno…
Eri venuto con un contratto già pronto?
No no, abbiamo parlato di varie possibilità e soluzioni; ho fatto un’offerta sul momento, è piaciuta ed è stata accettata.
Quanto è durato il vostro incontro?
Un’oretta.
Avete parlato solo di lavoro?
Il solito bla bla bla che si fa all’inizio di ogni appuntamento… Si è parlato “del più e del meno, di come va e di come non va”: gli chiesi di cosa vi occupavate e poi di lavoro…
Cosa sai della Spei?
So che è una srl, il cui titolare è Stefano Pesaresi; che ha come dipendenti dei commerciali che lavorano in giro per l’Emilia…
E basta? Non sai cosa facciamo?
Aspetta… Me l’ha spiegato il dottor Pesaresi… Consulenza meccanica?
Sì. E non ti ha parlato dei commerciali?
Sì, mi ha raccontato la storia di qualche commerciale… Di come più o meno qualcuno di loro è arrivato alla Spei…
Da questi racconti è saltato fuori come lavora la Spei? Come arriva la gente? Ti è sembrata una ditta come tante altre o hai visto qualcos’altro?
No, in realtà ho visto un lato molto più umano rispetto alle altre realtà che ho conosciuto; diciamo, un’azienda che per una grossa percentuale rispetto ad altre simili ragiona forse più d’istinto che di testa; più di sensazione…
In che senso?
Più di parlarti della Spei posso dire come ho visto il dottor Pesaresi, una persona che ha una visione “un po’ più avanti”. Nel senso che riesce a giudicare una persona non al primo impatto, alla prima facciata, ma cercando di vedere quello che ha dietro.
Lo ha fatto anche nei tuoi confronti?
Io credo di sì. Quando faccio un appuntamento con un cliente, anche con un grosso cliente, prima di avere delle firme almeno due o tre volte lo devo vedere. Con Pesaresi è stata subito sintonia, sia lui verso di me che io verso di lui, perché altrimenti non si spiega come abbia fatto a firmare al primo incontro.
Ha chiesto qualcosa di te? Della tua vita?
Parliamo di un incontro avvenuto quasi un anno fa…
Ti sembrava un colloquio?
No. Ricordo di come è stata la trattativa… C’erano lui e un suo collaboratore…
Berardi?
Berardi, sì, Enzo Berardi.
Enzo arrivò alla Spei proprio nel giugno dello scorso anno. Dunque eravate in tre in ufficio…
Eravamo in tre, sì. Probabilmente era stato proprio Berardi ad informarsi sulle nostre tariffe.
Cosa hai venduto?
Un contratto da tre sim voce e dati, con tre tablet annessi, che danno sia la possibilità di chiamare che di navigare.
Te lo richiedo: non ti è sembrato un colloquio quell’incontro?
No, no. Era un ambiente abbastanza rilassato, abbastanza informale, non vedevo strategie né da parte mia né da parte loro. Era tutto a carte molto scoperte, tutto subito in chiaro, semplice, trasparente dal primo incontro.
È vero quando dici che Stefano ragiona più d’istinto che di testa. Questo perché agisce a seconda della persona che arriva; solo dopo “fa”. Se non fossi arrivato io non ci sarebbe stato il libro e, immagino, se non fosse arrivato Berardi come nuovo commerciale non sarebbe stata chiamata la Wind per la tua consulenza. A seconda degli imput ricevuti – che si credono mandati da Maria, perché la ditta è affidata a lei – Stefano agisce.
Berardi era informato più di Stefano sulle nostre offerte, che aveva già consultato. Adesso ricordo che in ufficio c’era una lavagna con dei paragoni tra i vari gestori. Me lo fecero notare. E mi sa che non ero neanche io quello più conveniente, forse c’erano offerte più convenienti delle mie. Ma secondo me ho fatto una buona impressione, tale che è scattato qualcosa in fiducia o sensazioni che hanno fatto optare per me.
Che cosa ha fatto optare per te di preciso? Te lo sei chiesto?
Faccio questo lavoro da tanto tempo e riesco ad ottenere buoni risultati. Però se mi chiedi se sono un “bravo venditore”, rispondo che non ho niente di speciale. La risposta giusta, credo, è che riesco ad ispirare fiducia alle persone: ho una faccia pulita, la faccia di uno che non ti sta dicendo delle [minchiate]; quando parlo si capisce che sto dicendo la verità, che non sono in grado di dire bugie: probabilmente questo fatto arriva ai clienti, e io riesco a fare dei contratti. Ammiro i venditori che usano mille strategie, sono “bravi venditori”, ma io non ho questa capacità…
Però tu dici sempre la verità.
Io dico sempre la verità, a chiunque. Se dicessi una bugia, anche insignificante, perderei minuti di sonno durante la notte. E perché perderli? Dico la verità e basta. Immagina quante volte desidero fare cose che farebbero star male qualcuno, e non le faccio, perché poi la persona me lo leggerebbe negli occhi, anche se non mi conosce. Non sono in grado di dire bugie.
Avrai notato tutte le statuette della Madonna una volta entrato in ufficio… Cosa hai pensato?
Non mi è sembrata una cosa strana. E non mi è sembrato di vederne così tante… Mi sembra un ambiente normale. Ricordo di averne vista una al primo incontro, tanto che pensai: «Se il cliente accenna a un argomento religioso, spingerò su quella strada, per entrare in empatia con lui». L’ho pensato, ma al primo incontro non ne abbiamo parlato.
Ci sono stati più incontri?
Sì. Dopo qualche mese chiamai il dottor Pesaresi per sapere se si stava trovando bene coi tablet che gli avevo venduto. Mi invitò in ufficio perché voleva comprarne un altro. Era novembre. Quell’incontro durò molto tempo, perché parlammo di tante cose: mi fece capire come la pensa, che pensieri ha.
E come la pensa?
Mi ha raccontato di essere molto religioso, ma che in passato non era così; che successe qualcosa, tale per cui cominciò a parlare molto della Madonna e di Gesù. Mi ha raccontato alcuni paradossi della vita: che per la sua conversione ebbe problemi con la moglie; lei gli chiedeva «Perché parli sempre di Gesù?». E lui rispondeva «Qual è il problema?». Poi, alla lunga, sua moglie aveva capito. Mi raccontò anche le storie di qualche suo dipendente, in particolare di quella ragazza [Valentina] che non sapeva se assumere o no: alla fine, d’istinto, Pesaresi la prese, e saltò fuori un lavoro per lei, molto utile per la Spei.
Secondo te, perché ti ha raccontato tutte queste cose? Le dice a tutti?
Agli appuntamenti si parla sempre del più e del meno, per entrare in empatia, ma difficilmente ho provato la sensazione di familiarità che ho avuto alla Spei. Quando arrivo qui – non voglio esagerare – io trovo una sensazione di pace. Non credo che dica tutto a tutti, infatti al primo appuntamento parlammo solo di lavoro. Per quanto riguarda la seconda volta, invece, mi piace pensare che anche lui abbia provato nei miei confronti qualcosa di familiare, per cui si è aperto, lasciato andare, raccontandomi la sua storia. Una bella storia. So perfettamente che ci sono gli scettici al mondo, e che molte persone potrebbero giudicare Stefano “qualcosa di bizzarro”, ma non lo è. Anzi, ammiro le persone che credono fermamente in qualcosa.
Tu sei credente?
Sì. In casa mia non ho crocifissi, madonne… Non vado neanche in chiesa, se non molto raramente… Per pigrizia, ma credo fermamente nell’esistenza dell’aldilà, di Gesù, di Maria.
E perché non vai in chiesa?
Per pigrizia… Mi sento anche in colpa per questo… A volte mi giustifico dicendo che Dio e la Chiesa sono due cose separate, ma so che è una cavolata, che me la sto raccontando, perché quando mi capita di entrare in una chiesa, la sensazione di pace che provo è indescrivibile. Sembrerà bizzarro ciò che sto per dire, ma forti sensazioni di pace le provo anche quando entro in un cimitero… Mi rilasso, mi scarico.
Ricordo che quando vi ho visti la prima volta, lo scorso novembre, sembrava foste amici di vecchia data. Perlomeno che tu fossi da anni un nostro fornitore…
Confermo, sono d’accordo. Quando arrivo da lui è come essere a casa, anch’io ho questa sensazione.
Una domanda molto strana. Può esserti successo qualcosa in relazione al vostro incontro?
La mia vita è cambiata tantissimo nel 2014… Lavoro con Wind dal 2009, iniziai nel mondo dei negozi. Ho lavorato a Parma e a Bologna, dove tuttora vivo assieme a mia moglie. Un giorno mi arrivò la proposta di fare il commerciale con le aziende, una figura che mancava alla mia azienda in queste zone. È stata la scelta più difficile della mia vita: stavo bene in negozio, guadagnavo bene, sapevo far bene il mio lavoro; avevo trovato la mia dimensione. Poi c’è stato qualcosa dentro di me che ha fatto sì che scegliessi di buttarmi; per me è stato comunque un salto nel buio. Dal 5 maggio 2014 feci un po’ di affiancamento con dei colleghi a Milano, e dopo due settimane mi muovevo autonomamente. Poco dopo, l’appuntamento con la Spei.
Siam stati uno dei tuoi primi clienti?
I secondi o i terzi.
Guadagni bene?
Adesso sì, ma i primi mesi sono stati duri. Lavorando bene, ottenendo rimborsi, ho acquisito un aumento del minimo, buoni pasto, macchina aziendale e maggiori bonus. Non mi lamento, sono contento.
È una bella storia. Credo ci sia somiglianza tra il “salto nel buio” di cui parli e quelli che fa sempre Stefano: la storia di [Valentina], assunta “alla cieca”; la mia, che ho scritto il libro sulla ditta. E tante altre. In quasi tutte le storie dei dipendenti Spei, c’è sempre un racconto “speciale” che anticipa l’incontro con la ditta: un cambiamento, una scelta fatta.
Su questo punto non riesco a soffermarmi; non riesco a spiegare quanto ho sofferto prima di fare la scelta. È stato uno stravolgimento di vita per me. La stessa mia moglie consigliava di non farla…
E perché l’hai fatta?
Ho ragionato molto, ho passato notti insonne. Mi chiedevo: «Perché non voglio farlo?». Le risposte erano due: la paura di cambiare e l’apatia. Sembrava che stessi tanto bene come stavo, ma a dir la verità, non ero pienamente appagato dal mio lavoro: ero un semplice commesso. Dunque, la prospettiva di fare il commerciale si presentava, professionalmente parlando, come un gradino in più, lasciando stare il lato economico. Quindi ho concluso: «Paura e apatia sono due sentimenti negativi: non posso farmi guidare da loro». Questo è stato il mio concetto. E allora ho cambiato. Tra l’altro, la proposta di cambiare lavoro m’era stata fatta anche molti mesi prima, e l’avevo rifiutata; me n’ero pentito, mi dicevo che avrei potuto almeno fare il colloquio. Quando poi, alcuni mesi dopo, si è ripresentata l’occasione, ho subito accettato di mettermi in gioco, e il colloquio è andato molto bene. Da lì è nato tutto: mi sono buttato e ho cambiato vita.
È successo qualcos’altro nella tua vita, qualche novità?
Di grosso no… Mi sono riappacificato con mia madre un mese fa, dopo un po’ di tempo di silenzio tra noi…
Come mai?
I miei genitori sono separati, sono persone adulte. Mia madre ha assunto alcuni atteggiamenti sui quali non mi sono trovato molto d’accordo… Niente di grave… Ma ora ha scoperto Facebook e mette in piazza la sua vita privata. È stato un po’ doloroso ma abbiamo risolto. Le voglio molto bene, mia madre rappresenta tutta la mia infanzia.
La separazione dei tuoi è stato un incentivo per venire via da Napoli?
No, quando sono partito loro erano ancora insieme. Forse il fatto che io sia partito è stato un incentivo per loro alla separazione.
Ti senti in colpa?
No… No no. Non ho colpe. Quando ero a Napoli avevo dei sogni, giocavo a calcio, volevo sfondare. Quando quel sogno si è infranto e mi ero ritrovato a friggere patatine in un fast food ho deciso di partire per intraprendere un’altra strada. E tra tutti gli alti e i bassi, sono contento di quella mia scelta. La rifarei altre cento volte.
Tu e tua moglie avete figli?
Quello è un altro tasto dolente… Ne vorremmo, però purtroppo sono una persona molto razionale; mi piace essere istintivo ma la razionalità ha sempre una buona percentuale di importanza. Per il lavoro che faccio io adesso, e per il lavoro che fa lei, non sarei in grado di amare un figlio come vorrei amarlo, quindi per ora niente. È brutto dirlo, ma “contro la nostra volontà” aspettiamo ancora. Io penso sempre a mio fratello, che ha due anni in meno di me e tre figli: lo vedo fare salti e capriole ogni giorno per non fargli mancare niente, ma in realtà manca di presenza. Nei weekend, invece di portarli in giro, sta in casa perché è distrutto e deve riposare. Rischia di trascurare i figli. Io li farò, ma devo essere in grado di occuparmi di loro come dico io.
02/03/2015