NON VALEVO 25 EURO ALL’ORA

Classe 1994, Andrea è arrivato alla Spei nel settembre 2014 dopo essersi diplomato come geometra. Eccetto qualche mese gratis di praticantato nello studio di un architetto e qualche giorno nell’edicola del padre, non aveva alcun tipo di esperienza lavorativa. Ora lavora come esterno preso una importantissima ditta di Sassuolo. Ci racconta del suo esilarante colloquio con Stefano, della sua prima esperienza presso un cliente e della sua ragazza, conosciuta per caso in discoteca…

 

Come hai conosciuto la Spei?

Un giorno dello scorso settembre mia madre parlò con Giorgio, un ragazzo che in passato mi aveva dato ripetizioni di Storia e che continuava a darne a mia sorella. Giorgio raccontò di aver trovato lavoro in una piccola ditta per la quale andava in giro a fare interviste ai dipendenti. Visto che la cosa sembrava molto particolare, mia madre si incuriosì. Giorgio sapeva che anch’io cercavo lavoro da due anni, così promise a mia madre che al momento giusto avrebbe parlato di me a Stefano, il suo capo. Passato qualche mese il momento giusto arrivò: arrivò un messaggio a mia sorella con scritto di chiamare il numero di Stefano e dire che ero “un giovane che cercava lavoro”. Il giorno dopo chiamai quel numero, Stefano mi fissò un appuntamento per due giorni dopo. Era la fine di settembre.

E hai fatto il colloquio.

Sì, sono venuto nel pomeriggio. Stefano era di sotto con Giorgio, sono salito in ufficio e mi ha accolto Luana, la segretaria, davvero molto gentile. Ho aspettato su una sedia quasi mezzora, poi Stefano è arrivato e si è presentato. Da come mi ha dato la mano ho pensato: «Questo qua è un prete». Poi siamo entrati nella sua stanza, ed è cominciato il colloquio: mi sembrava molto strano, dovevo raccontare un po’ della mia vita. Stefano chiedeva dei miei genitori, di mia sorella, del motivo per cui conoscevo Giorgio… Domande un po’ così…

Perché ti chiedeva queste cose?

Per conoscermi meglio come persona. Lui guarda alle tue abilità, ma vuole inquadrarti come persona.

Gli raccontasti anche cose particolari?

Sì. Mi chiese se avevo la morosa. Risposi di no, ci eravamo lasciati un anno prima perché lei aveva fatto degli errori…

Degli errori?

Sì, era andata con un altro tipo.

Una zoccola…

Sì, e anche stronza: era andata con un mio amico. Allora Stefano cominciò a farmi paragoni con Dio…

Del tipo?

Disse che il diavolo a volte ci tenta per portarci sulla brutta strada, però bisogna rimanere fedeli, pregare  cercando di rimettersi sulla strada giusta. La mia ex era stata tentata da lui ed era caduta. Stefano era convinto che il Signore mi avrebbe fatto incontrare un’altra donna. Disse proprio così: «Te la manderà».

Era un tuo desiderio?

Sì, ma non lo dissi proprio esplicitamente a Stefano.

Soffrivi ancora per quella ragazza?

Ci pensavo ogni tanto, non avevo ancora trovato una storia seria che colmasse il vuoto che avevo.

Stefano ha capito come stavi, secondo te?

Credo di sì, anche perché continuavamo a parlare di quell’argomento… Avevo cominciato ad aprirmi. Ne parlammo per almeno venti minuti…

E di lavoro avete parlato?

No, cioè pochissimo. Non avevo alcuna esperienza lavorativa eccetto qualche mese gratis di praticantato nello studio di un architetto e qualche giorno speso nell’edicola del padre. E poi prendevo qualche soldo riparando computer in casa… Un lavoretto e niente più.

Stavi cercando un lavoro seriamente?

Non più di tanto… Nelle agenzie ci andavo ogni tanto, ma mai nelle ditte a bussare.

Perché?

Forse perché non ci credevo tanto. E poi, non essendomi messo ancora in gioco, pensavo «Chi vuoi che mi prenda», e più il tempo passava più mi veniva voglia di darci a mucchio.

Come vi siete lasciati al colloquio?

Stefano disse così: «Noi abbiamo bisogno di una persona che sappia usare Inventor, non so se te l’ha detto Giorgio». Risposi di sì. Allora mi chiese se ero in grado di scaricarlo e crackarlo su un pc della Spei. La mia risposta fu sì. Stefano mi invitò per la mattina seguente in ufficio a fare la cosa. Poi aggiunse: «Solo una persona sa se ce la farai o no», facendo un sorrisino mentre indicava con l’indice una statuetta della Madonna [risate a gogo di giorgio e andrea]. Disse che il mio destino era legato al suo, perché eravamo di fronte ad una piccola “coincidenza mariana”: al telefono avevo detto a Stefano di aver studiato Autocad a scuola, un programma in 2D degli stessi creatori di Inventor, che è invece in 3D.

Scusa, quale sarebbe la “coincidenza mariana”?

Stefano dice che Maria fa succedere le cose, però non del tutto… Avevo comunque bisogno di tempo per imparare, e quindi: “Credere nel Cambiamento!”, stare in ufficio e imparare ad usare bene il programma.

Qual era il cambiamento che dovevi fare?

Dovevo cambiare nell’aspetto professionale, ovvero passare da una situazione di “esperienza zero” ad una di “esperienza acquisita”. E poi cambiare anche nell’ambito personale, perché da quando sono entrato alla Spei sono cambiate anche altre cose, non solo a livello professionale… Nell’ambito personale devo dire che Stefano aveva ragione sul fatto della ragazza, perché è effettivamente arrivata… E poi sono capitate delle altre coincidenze…

Racconta.

Un giorno di dicembre avevo fatto un gesto buono… Avevo trovato una Play Station in strada ch riconsegnai ai carabinieri invece di tenerla per me. Quella stessa sera andai in discoteca e mentre ballavo trovai per terra un braccialetto di argento a forma di “A”, che poi ho regalato alla mia morosa. Ho pensato che dopo aver fatto quel gesto buono, il Signore mi ha ricompensato con qualcosa per me, proprio con la “A”, l’iniziale del mio nome. Sono capitate delle coincidenze simili…

Quando hai trovato la ragazza?

Dopo essere stato messo sotto contratto alla Spei, a novembre, ero andato a ballare. Facevo un po’ l’asino per i fatti miei quando è arrivata una ragazza, Giulia, che parlò un po’ con me e mi diede il suo numero. Non l’ho neanche cercata. E dopo un mese ci siamo fidanzati… Una cosa tutta “casuale”.

La vedi come una storia d’amore decisiva per te?

Sì, Giulia mi sembra abbastanza decisa, anche se è più piccola di me. Ha diciassette anni e fa la terza al Venturi.

Che idea ti sei fatto di queste coincidenze?

Io sono una persona che sta coi piedi per terra, però sono credente, ho sempre detto le mie preghiere…

Sempre sempre?

Nell’ultimo anno no, anzi, quasi mai. E bestemmiavo sempre. Però adesso no. Sono dell’idea che le coincidenze esistano: c’è chi le attribuisce al caso e chi ad un’entità. Io le attribuisco ad un’entità.

Chi è questa entità?

È Dio, il nostro Dio, che mi ha fatto dei regali.

Rispetto alla tua vita spirituale, Stefano, o la Spei, ha influito su di te?

Abbastanza. Da quando sono entrato alla Spei ho ricominciato a pregare, grazie alle riunioni in ufficio. Stefano mi ha capito: sono arrivato senza nulla in mano e mi ha aperto le braccia, mi ha preso in famiglia. E gliene sono grato.

Come ti trovavi inizialmente alla Spei?

Ho cominciato a stare ogni giorno in ufficio applicandomi su Inventor, per imparare. Poi, lo devo dire, man mano che passava il tempo ho cominciato a sentirmi un po’ sfruttato… Stefano fa sempre tutti i suoi discorsi religiosi, ma a volte sembra che voglia rigirare le cose… A me sinceramente ha dato un po’ fastidio…

In che senso “sfruttato”?

I miei erano contenti perché avevo trovato un lavoro, però il fatto di andare a Modena ogni giorno e mangiare sempre fuori a pranzo era una bella spesa e chiedevo sempre più soldi. È vero che stavo imparando, ma già dopo una settimana lavoravo sul serio sui manuali, un lavoro che al momento non porta reddito, ma che in futuro potrà servire alla Spei. Stefano mi diceva che ero sveglio e che servivo tanto, però non vedevo nemmeno un rimborso… Una persona ha bisogno d’essere pagata per sentirsi soddisfatta, perché i soldi servono per vivere e per far tutto…

Quando sei stato assunto?

Il primo di novembre ho firmato il contratto e quel malumore si è risolto subito. I soldi arrivavano. Lo ammetto, sono molto legato ai soldi… Sono fatto così. C’era però un altro aspetto che non mi piaceva all’inizio: è vero che venivo per imparare, ma a volte sentivo che Stefano mi stesse “rubando del tempo”. Il primo mese stavo in ufficio sempre un’ora in più rispetto agli altri, non uscivo mai prima delle 18.30. Ogni giorno alle 17.20 arrivava una chiamata di Stefano su Skype che mi teneva impegnato in ufficio almeno un’altra oretta. Questo accadeva anche dopo la firma del contratto, non più ogni giorno, però a volte capitava… Lo stesso può dirlo Dinu. Queste sono le cose che non mi sono piaciute, quelle che mi sono piaciute te le ho dette prima… Pesaresi, come persona e come amico, è un’ottima persona, cerca sempre di aiutare tutti. Quando però si parla di soldi mi piace un po’ meno per i motivi che ti ho detto.

E come imprenditore ti piace?

Se fossi io il capo non avrei assunto tutte le persone che ha assunto negli ultimi tempi. Secondo me ne ha prese troppe.

Hai mai lavorato per un cliente?

Sto lavorando per la Rivi & Magnetics da febbraio. All’inizio di gennaio, invece, si era presentata l’occasione di lavorare per l’Ancora di Sassuolo, grazie ad un contatto di [Enzo], così ci abbiamo provato. Quella prima esperienza fu proprio un buttarmi in mare aperto.

Perché?

Da una parte Stefano ha fatto bene, dall’altra male. Come abbiamo ribadito un giorno mentre eravamo insieme a pranzo, ci vuole sempre un “senior” che affianchi un “junior”. Un senior, oltre al lavoro che deve fare, deve anche prestare aiuto al junior, deve essere tutor: in pratica, fare ciò che Fabrizio [un dipendente Spei con molta esperienza] ha fatto con me alla Rivi & Magnetics, accompagnandomi nel lavoro per alcune settimane, e ciò che Pesaresi ha fatto con [Flagiello]. All’Ancora, tutto solo, andò male.

Cosa è successo?

Non sono stato giudicato per le mie capacità, ma per la mia esperienza, che non c’era: «Esperienza zero = in una ditta importante come la nostra non ci stai». Stefano ha fatto bene a provare a mandarmi, anche perché ero l’unica risorsa disponibile della Spei al momento, ma è andata male.

Avresti potuto farti tenere in altri modi?

No. Appena mi sono seduto sulla sedia mi hanno chiesto se avevo già fatto delle messe in tavola per altre aziende. Quando ho risposto di no mi hanno detto: «Qua cerchiamo una persona con dell’esperienza: 25 euro all’ora sono troppi». Dopo due giorni mi hanno detto che non mi avrebbero tenuto oltre la settimana pattuita. Mi hanno inquadrato subito.

Ti sei sentito rifiutato?

No, so di aver dato tutto me stesso in quei sette giorni. Sono dell’idea che la persona che mi ha detto così – il presidente in persona – non farà della strada: mostra una ditta con un’organizzazione perfetta, mentre in realtà ho sentito che ha debiti per tre milioni di euro ed è stata comprata da B&T. Mi hanno mandato via perché “rallentavo”, chiedevo sempre delle cose agli altri. La differenza con la ditta per cui lavoro ora è che adesso mi danno il tempo di imparare perché capiscono tutto il mio impegno e vogliono “tirarmi su”.

Alla Rivi come sei arrivato?

Dopo l’esperienza all’Ancora sono rientrato negli uffici Spei a lavorare ancora sui nostri manuali. Nel giro di una settimana arrivò l’occasione di andare come esterno nella ditta in cui stava lavorando Fabrizio, già intenzionato a lasciare la Spei. Verso sera, Stefano mi disse che aveva parlato con un parente di Rolando Rivi, un martire cristiano ammazzato nel secolo scorso. Questo parente era appunto il titolare della Rivi & Magnetics che voleva continuare la collaborazione con Spei a prescindere da Fabrizio. È lì che Stefano ha fatto il mio nome: sarei stato “allevato” in quell’azienda dallo stesso Fabrizio prima che se ne andasse.

Prima di iniziare l’esperienza con Rivi avevi paura?

No, avevo avuto paura prima dell’esperienza con Ancora. Con la Rivi no, perché sono stato accompagnato da Stefano. E poi perché sapevo che Fabrizio mi avrebbe aiutato, come è stato. Mi sono trovato benissimo con lui, è buono. La Rivi è una ditta molto più “terra terra” dell’Ancora: niente cravatte, niente “buongiorno,  signore, vuole il caffè?” e niente fighettini in giro… Mi sto trovando bene. L’unica paura che mi viene è quando devo progettare, perché ho delle responsabilità: se sbaglio il disegno di un millimetro faccio buttare via un pezzo da tremila euro. All’Ancora invece ero preso come un down: volevano controllare ogni minima cosa che facevo, mi dicevano continuamente “clicca qui clicca là” anche per delle banalità. Comunque la paura si risolve con l’esperienza, le cose vanno avanti in modo più fluido…

Cosa sa la Rivi della Spei?

Secondo me non sanno niente, a parte il signor Rivi, che ha parlato direttamente con Stefano.

Tu non ne parli?

Solo un giorno ne ho parlato, con Cristina, una tipa dell’ufficio tecnico. Mi ha chiesto come mai sapessi usare così bene Inventor. Ho raccontato del giorno del mio colloquio alla Spei, citando quella frase che disse Stefano: “Solo la Madonna sa se ce la farai”, e lei non si è neanche messa a ridere, ha pensato ad una persona molto religiosa.

Veniamo alla tua esperienza negli uffici Spei. Cosa ne pensi delle riunioni?

Mi piacciono quei momenti anche se si estendono troppo. Adesso, che sono esterno, non ci vado quasi più. Pregare insieme va bene, però non è che “più preghiere fai e più lavoro arriva”… Pregare può aiutare, però quando hai fatto tre o quattro preghiere secondo me “sei a posto”. Ci sono state volte che abbiamo pregato anche un quarto d’ora o venti minuti: non dico che sia una cosa inutile, ma a volte è uno spreco di tempo, soprattutto quando ci sono dei problemi da risolvere. Quindi la mia idea è quella di parlare di più dei problemi di lavoro, interagire di più. Per esempio, [Susanna] o chi per lei non sa quello che sta vendendo. Morale della favola, quando in riunione ci dilungavamo a vedere dei video secondo me non serviva a niente…

Le riunioni fanno gruppo?

Stefano dice che pregare insieme è diverso. Quando uno prega Dio da solo, Dio è contento. Quando ci sono più persone che pregano Dio insieme, e parlano di Lui, Dio è ancora più contento, proprio perché si parla di Lui. E secondo me è vero. Però ci sono modi e modi di farlo, Stefano esagera un po’ troppo. Ripeto, va bene pregare in gruppo, però alla fine io faccio la mia preghiera ogni sera a letto; Lui lo sa… Secondo me dobbiamo concentrarci di più sugli aspetti lavorativi.

Ti senti un “uomo Spei”?

Mi sentivo più “uomo Spei” prima, quando vedevo che le cose cambiavano in modo drastico. Adesso è quasi tutto lineare, va tutto bene per me… Ora che lavoro da esterno ho perso un po’ il contatto con la Spei, pranzi insieme a parte, che non sono la stessa cosa di vivere otto ore al giorno con le altre persone. Dico questo anche se dovrei sentirmi più “uomo Spei” adesso, perché è ora che sto portando avanti la missione Spei, visto che il mio reddito aiuta a pagare gli stipendi di altre persone. Ho perso un po’ l’ambiente.

Cosa dici di questo ambiente, la gente ci crede?

Secondo me quasi nessuno crede nel messaggio, in questa filosofia. Molti simulano, fanno i lecchini. Altri non pregano e basta, anche se alla Spei il discorso preghiera è legato al lavoro. Però c’è anche chi ci crede veramente, che è poi la gente a cui capitano le cose, e proprio per quello crede: ad esempio, a Susanna non è mai capitato niente, ed è la prima a dire di non credere nella Spei.

Bisogna anche volerci credere…

Appunto.

Tu senti di aver “chiamato” la tua ragazza?

Dico solo che ho iniziato a pregare e che ho creduto alle parole di Stefano.

Avevi cambiato atteggiamento…

Sì, ero disponibile al fatto che potevano succedere delle cose. Se lasci la porta chiusa nessuno entra.

Alla tua ragazza parli della Spei?

Sì, parlavamo di Pesaresi, soprattutto in passato, delle coincidenze che capitavano, di quello che avevamo detto al mio colloquio. Lei si era molto emozionata…

È presa dal discorso Spei?

“Presa” no, perché lei non crede in Dio. Però un venerdì siamo andati a mangiare fuori, e io ho preso la pizza con le verdure invece che con la salsiccia, per rispettare il digiuno… Mi prendeva in giro, bonariamente…

Comunque dai testimonianza.

Sì.

Quindi tu “credi nel cambiamento”?

Io? Ci sto ancora credendo!

16/04/2015