Mosè ha trentotto anni e crede ferventemente in Dio. Intelligente, timidissimo e accanito fumatore, ha sempre lavorato dietro ad un computer, e in Spei è alla seconda esperienza. Per sua indole personale, ha sempre prediletto frequentare i conventi dei frati cappuccini, in particolare a Vignola, Sassuolo e Puianello, oltre ad aver avuto alcune esperienze in movimenti ecclesiali come Rinnovamento dello Spirito e Nuovi orizzonti. Negli ultimi anni si sta dedicando ad una riscoperta personale dei fondamenti dottrinali cattolici che, nei tempi della sua formazione spirituale, aveva trascurato.
Come sei arrivato alla Spei?
Il primo contatto con Stefano fu nel 2011. Arrivai per la prima volta alla Spei tramite [Francesco,] un amico che mi aveva parlato di un’azienda con un diverso approccio pedagogico rispetto alla media comune, in cui lavoro ed esperienza di preghiera erano unite. Nonostante avessi già un lavoro, ero già molto credente e questo “posto cristiano” mi incuriosiva parecchio. Soprattutto il tentativo di coniugare lavoro e preghiera, di lavorare con una diversa filosofia del lavoro. Appena arrivato, non avevo ben capito che cosa fosse la Spei. Non avevo mai sostenuto un colloquio del genere in vita mia: Stefano non mi chiese nulla delle mie passate esperienze lavorative, ma si concentrò sulla storia della mia vita e sul mio percorso spirituale, sulla mia parte interiore. Andò abbastanza in profondo, mi lasciò di stucco (ride, ndr).
Quando hai cominciato a lavorare?
Sono stato messo sotto contratto per la prima volta nel settembre del 2011, ed iniziai a lavorare come archiviatore di disegni CAD. Successivamente mi dedicai alla progettazione del sito, mansione che svolsi fino all’agosto del 2012, quando interruppi la collaborazione professionale. Dopo due anni passati in un altro luogo di lavoro, sono tornato alla Spei lo scorso maggio, di nuovo in qualità di webmaster.
Come mai quell’interruzione?
Non avevo focalizzato bene alcune cose. Nel tempo mi ero creato alcuni pregiudizi sulla Spei, paure che mi avevano bloccato e che mi portarono alla decisione di sospendere la mia collaborazione. Temevo che l’esperienza fosse tutta un’“improvvisazione” di Stefano e che il progetto, di stampo cattolico, non avesse un’interazione con la Chiesa ufficiale ed una sua supervisione. Avevo paura che dal “fai da te” stile Spei le cose potessero “andare fuori mano” e prendere derive eterodosse, come spesso accade a gruppi che partono col piede giusto ma poi, allontanatisi dalla Chiesa, finiscono per diventare settari, se non addirittura “mezzi eretici”.
Oltre a questo discorso generale sulla Spei, nutrivo pregiudizi sulla persona specifica di Stefano, con la quale ebbi divergenze caratteriali, a livello comunque personale e non teologico: fu questo il vero motivo per cui interruppi il rapporto lavorativo nel 2012. Continuai lo stesso, durante i due anni di pausa, a frequentare l’ufficio: partecipavo alle riunioni del giovedì sera, i momenti comunitari di preghiera mi piacevano e volevo continuare a farli, anche se “da esterno”.
Hai parlato di possibili derive eterodosse. Alla Spei sono capitate?
Durante il mio periodo di interruzione dal lavoro, arrivò un uomo che si presentò come sacerdote [, tale don Tonino]. Stefano, in buonafede, lo accolse all’interno dell’ufficio e per qualche tempo partecipò ai nostri incontri di preghiera. Parlava molto bene, fino a quando cominciò a dare segni di squilibrio e megalomania. Diceva che stava parlando al papa dell’esperienza Spei, che il progetto doveva espandersi e diventare un modello di cristianità. Suonato qualche campanello d’allarme, Stefano contattò il vicario generale di Modena [, Monsignor Giacomo Morandi,] per avere più informazioni su quell’uomo. Scoprimmo che era sì un sacerdote, ma sospeso a divinis, e che già da qualche anno soffriva di schizofrenia ed era in cura in un ospedale psichiatrico. In poco tempo venne allontanato dalla Spei. Mi bastò sapere che Stefano aveva contattato il vicario, e quindi della sua volontà di inscrivere l’esperienza Spei all’interno della Chiesa cattolica, per rassicurarmi sul rischio di eterodossia, e mettermi tranquillo. Avevo capito che la missione Spei era – e voleva continuare ad essere – un’esperienza ortodossa e in linea con la Chiesa ufficiale. Mi piacque molto come Stefano si mosse.
Come mai lo scorso maggio sei tornato ad essere un dipendente Spei?
Fu a causa di una serie di circostanze, qualche problema personale e da ultimo la brusca fine del rapporto con la ditta in cui lavoravo. Chi viene alla Spei è mandato da Maria, e Maria sceglie persone che hanno ferite causate dal mondo, e che sono da sanare. Nel mio caso, ho avuto parecchi problemi nei luoghi in cui ho lavorato: professo il mio mestiere da più di vent’anni, e in questo lungo arco di tempo ho visto peggiorare esponenzialmente i rapporti sia tra datore di lavoro e dipendente, sia tra dipendente e dipendente. Questi sono manipolati e messi in una terribile competizione tra loro: una politica del divide et impera che porta ad una guerra interna di tutti contro tutti. Situazioni di disarmonia totale che ho sempre cercato di evitare, ma che sempre ho sofferto. Per questo arrivai alla Spei la prima volta, incuriosito dai racconti sulla sua radicale diversità, e per questo sono ritornato tre mesi fa: ricoltivare la speranza di cambiamento sul posto di lavoro.
La Spei sta riuscendo nel suo intento?
La Spei ha tra le sue finalità quella dell’evangelizzazione, sia verso i dipendenti che verso i clienti o potenziali clienti. Stefano ci sprona ad avere questo coraggio esterno. È chiaro che non sempre si riesce ad averlo, ma la linea da seguire è quella. Per quanto riguarda i rapporti di lavoro, la Spei è certamente diversa dalle altre realtà: e non parlo solamente delle politiche di redistribuzione interna dei profitti, ma dell’assenza di competizione tra i colleghi. Quello che è impossibile cambiare è il sistema esterno, le ferree regole del mercato, la rigidità dei budgets e dei bilanci.
È cambiato qualcosa in te grazie all’esperienza Spei?
Ci sono molte cose che ho capito ed interiorizzato. La Spei mi ha spronato – a volte insistentemente – ad accettare i pregi e i difetti delle altre persone, quella capacità che non avevo – e che tuttora sto costruendo – di mediare e pazientare. Con Stefano stesso. Fino a due anni fa ero portato ad escludere a priori la gente che non mi andava, anche a livello inconscio: mettevo barriere a possibili nuove relazioni, anche solo presagendo antipatie. Forse, semplicemente, non avevo voglia di fare fatica, perché interagire con gli altri comporta sempre problemi, soprattutto all’interno di una vita comunitaria.
Dal punto di vista più spirituale e meno caratteriale, la Spei mi ha aiutato a cogliere – ancor più di prima – i segni dell’intervento di Dio nel quotidiano: e non parlo di apparizioni mariane o angeliche (sorride, ndr), ma di “mezzi miracoli” che ho visto e che hanno confermato ciò in cui credo da sempre. Situazioni di crisi lavorative che si sbloccavano improvvisamente al momento giusto (ad esempio nuove commissioni arrivate in extremis) o “il miracolo della preghiera”: ho avuto al mio fianco persone che, partendo da situazioni di lontananza estrema dalla fede, si commuovevano durante la preghiera. Agnostici – ne passano spesso qui – che si pentivano di qualcosa della loro vita e che ricominciavano un cammino. Alla Spei un seme è sempre gettato, e comincia a lavorare. Non è detto che i frutti dello Spirito si colgano subito, possono sembrare “inattivi” e cominciare a maturare anche dopo molti anni…
08/08/2014