L’etimologia fa comunemente derivare il termine “recupero” dal latino re (di nuovo) e cuper re, affine al verbo accipere nell’accezione di “prendere”; per cui “recupero” è “tornare in possesso”.
Un’attribuzione più rara attribuisce la derivazione di “recupero”, sempre dal latino re-cuper re ma con riferimento a cuprus (buono); sicché qui “recupero” è l’atto del “rendere di nuovo buono” ciò che non lo è più o ciò che è fortemente compromesso.
Il contrario di “recuperare” è “buttare/scartare”. L’uno e l’altro possono riguardare le cose ma anche le persone. «Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali» (L. Milani).
Convinto di ciò, don Milani parla nei suoi scritti e fa a Barbiana “recupero scolastico”, intendendolo come reinserimento nella società, nelle famiglie e nel sistema economico di persone che, per percorsi accidentali, hanno dimenticato di essere chiamati ad essere buoni e belli.
Per lo stesso motivo i tossicodipendenti vengono inseriti in “comunità di recupero”. I migranti, vengono “recuperati” in mare per dare loro nuove possibilità di vita in territori meno martoriati dai quali provengono. “Recuperare” centri storici o oggetti scartati vuol dire liberarli dall’abbandono per restituirli a una nuova vita.
Tutti sperimentiamo l’arte del recupero e i suoi effetti benefici. Lo facciamo con il sonno, essenziale per il ripristino dei processi fisiologici e dei percorsi neurali sovraeccitati durante la veglia.
Più faticoso e impegnativo è recuperare un rapporto, un’amicizia perduta, un amore sepolto da incrostazioni e da incomprensioni. Questo recupero è più difficile perché esige il volgere lo sguardo verso l’altro prima che verso se stessi, necessita di una richiesta di scuse anche se si pensa di avere ragione.
Se il tempo da vivere non può essere recuperato, la vita – ogni istante di vita vissuta – offre possibilità di recupero infinite. Per coglierle occorre partire dalle proprie debolezze, dai propri smarrimenti (si recupera qualcosa che era persa), dalle proprie brutture. E bisogna “essere liberi”.
La responsabilità di recuperare uomini dal mare, ad esempio, viene avvertita solo se si è liberi da egoistici pregiudizi. Occhi e mani che chiedono di essere recuperati non possono aspettare autorizzazioni dall’alto o la conclusione di articolati dibattiti. «Se si è uomini e donne liberi il recupero viene da sé e finché ce n’è non ti fermi» (E. Venturo).
Questo vale per persone da recuperare ma vale anche per valori, sogni e progetti perduti o sbiaditi perché «Dobbiamo pensare il paradiso non come è raffigurato dagli affreschi delle chiese, ma come recupero delle piccole cose, dei particolari, delle cose che appaiono a noi insignificanti» (P. De Benedetti).
ABITARE LE PAROLE / RECUPERO – Come tornare nuovi e liberi
Mons. Nunzio Galantino