Prekrasnyi

L’idiota è un romanzo di Fëdor Michailovič Dostoevskij. Considerato uno dei massimi capolavori della letteratura russa, vuole rappresentare “un uomo positivamente buono”, un Cristo del XIX secolo.

La stesura fu contemporanea all’esilio dello scrittore, dovuto ai debiti: ebbe inizio a Ginevra nel settembre del 1867, proseguì a Vevey (sul lago di Ginevra), a Milano, e terminò nel gennaio del 1869 a Firenze. Una targa al numero 18 di Piazza de’ Pitti ricorda la permanenza dell’autore nel palazzo per quasi un anno. L’opera nel frattempo uscì a puntate dal 1868 sulla rivista Russkij vestnik (il Messaggero Russo), mentre fu presentata in forma unica l’anno successivo.

In una lettera[1] del 1867 indirizzata allo scrittore Apollon Nikolaevič Majkov, Dostoevskij descrisse il nucleo poetico del romanzo a cui stava lavorando:

« “Da tempo mi tormentava un’idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché è un’idea troppo difficile e non ci sono preparato, anche se è estremamente seducente e la amo. Quest’idea è raffigurare un uomo assolutamente buono. Niente, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d’oggi soprattutto”. »

È importante sottolineare come l’aggettivo buono usato nella lettera fosse nell’originale russo prekrasnyi, che indica lo splendore della bellezza.

L’opera ha avuto diversi adattamenti teatrali, cinematografici e televisivi.

Nel corso del romanzo è più volte citato e discusso dai personaggi, il quadro di Hans Holbein il Giovane, Cristo nella tomba. Dostoevskij aveva visto il dipinto nel 1867 a Basilea e ne era rimasto fortemente impressionato. “Più di uno guardando questo quadro può perdere la fede” disse.

In effetti il nocciolo del problema è proprio questo: il Cristo nel sepolcro sembra non poter risorgere, e questo ovviamente scardinerebbe le fondamenta stesse della fede cristiana. Analizziamo i vari punti critici.

Il formato innanzitutto: siamo di fronte ad un quadro lungo e stretto, 2 metri di lunghezza per 30 centimetri di altezza. In pratica il loculo dove è deposto Gesù è opprimente e il corpo sembra quasi che vi sia stato incastrato. Il realismo della rappresentazione è molto crudo, ma questo rientra nello standard dei pittori tedeschi, basti pensare a certe crocifissioni in cui il corpo di Gesù è letteralmente martoriato – tradizione ripresa poi da Mel Gibson nel film “La Passione di Cristo”.

Qui però c’è anche un altro problema: non sono tanto i segni del martirio ad essere visibili, ma il fatto che siamo di fronte ad un cadavere in una fase iniziale di decomposizione, cosa che ovviamente fa a pugni con la risurrezione di Cristo al terzo giorno dalla morte in croce. Se guardiamo le mani e i piedi hanno un colorito grigio-violaceo, la mano destra è rattrappita e quasi scheletrica, il volto è scavato, la bocca semiaperta, gli occhi infossati e il naso affilato e scurito.

Alla fine il dubbio sulla presenza o l’assenza di Quel corpo nella tomba quella mattina di Pasqua rimane la cerniera intorno a cui si muove ogni nostra esistenza.