QUANDO IL SIGNORE TI VUOLE PROPRIO AIUTARE

Profondamente devota alla Divina Misericordia, Anna ha una cinquantina d’anni e lavora part time come operatrice socio-sanitaria presso una cooperativa modenese. Proviene da una famiglia molto numerosa di Napoli. Si trasferì nel 2004 col marito e i suoi due figli: Michele, il più piccolo, che ha una malattia immunitaria da quando aveva tre anni, e Francesco, che è stato dipendente alla Spei fino al 2013 ed ora lavora alla CNH.

 

Come e quando ha conosciuto Stefano e la Spei?

Ho conosciuto Stefano, quando i nostri due figli andavano assieme alle elementari. Ho conosciuto prima la moglie, Francesca, quando partecipammo a una riunione della prima elementare, sei anni fa. Poi al compleanno di Giovanni, loro figlio, ho avuto modo di conoscere anche Stefano, che mi aprì la porta. Poi pian pianino… Appena lo vidi capii subito che era una persona speciale, al primo impatto.

Che impatto fu?

Mi sono trovata davanti una persona pulita, altruista, solo per come si è presentato. Lo capii già da quel suo modo carino e garbato di porsi, sempre attento ai bambini. In questo quartiere ci sono dei begli appartamenti, ma tante famiglie disagiate, tanti casi sociali… Stefano faceva sempre giocare i bambini, fece anche una scuola di calcio: li metteva tutti insieme, mi ricordava san Giovanni Bosco. È sempre stato un amore di persona. Un giorno che Giovanni era venuto a casa nostra per passare il pomeriggio con Michele, chiesi a Stefano di salire. Sai quando il Signore ti vuole proprio aiutare? Quando ti apre una porta? Lo feci salire per fargli conoscere l’altro mio figlio, [Francesco], e così si conobbero. Stefano ha dato tanto amore e disponibilità alla nostra famiglia, spero che il Signore gli dia il doppio di quello che ha dato agli altri, perché è una bella persona.

Avete mai parlato di spiritualità?

Guarda, prima di conoscere Stefano non avevo mai pregato la Madonnina. Dicevo sempre «Dio Mio», ma da allora ho cominciato a pregare l’Ave Maria. Adesso ho le madonnine dappertutto. Una me la portò mia sorella, che ho perso per un tumore al cervello. Ero già cattolica, anche se devo dire che in chiesa non ci vado mai, però non m’ero mai rivolta alla Madonnina. Adesso sì. Sono tre quattro sere che ascolto i rosari su TV2000. E poi sento sempre tutte le storie di Paolo Brosio, mi piacciono. Mi sono molto avvicinata.

Però non è merito di Stefano.

Sì sì sì. Perché lui ne parlava, e pian pianino ho avuto modo di pregarla anch’io. Vorrei fare di più, perché noi senza la spiritualità non siamo niente. Pregare ci aiuta a stare bene; ogni volta che qualcosa ci turba e diciamo una preghiera dopo si sta bene.

Dici più o meno le stesse cose che mi ha detto tuo figlio Francesco.

Sì sì. L’ultima volta che Michele è stato ricoverato, a Genova, quattro anni fa, si era aggravato. Eravamo entrambi in camera, ma non potevo avvicinarmi al bambino, perché non poteva prendere infezioni. Allora Michele, che aveva dieci anni, iniziò a dire «Mamma vieni, ti prego, mamma vieni». Gli dicevo che mi dispiaceva, ma proprio non potevo avvicinarmi. Allora lui cominciò a pregare da solo: «Madonnina mia, ti prego Madonnina mia…».

Che malattia ha suo figlio?

Una malattia immunitaria, infiammatoria, che gli porta dolore alle articolazioni e un eritema diffuso. Si ammalò a pochi anni di vita, all’improvviso. Aveva pruriti e gonfiori… Una cosa che a chiunque potrebbe capitare, all’improvviso. Quel giorno pregava la Madonnina, chiedeva solo di poter stare bene… Pregava con il sangue agli occhi! I dottori non lo prendevano molto in carico: arrivava la dottoressa, gli dava il cortisone e poi se ne andava. La sera che Michele pregò così tanto, vennero tre quattro medici importanti del policlinico e mi indirizzarono verso un dottore di Reggio Emilia: da quella volta la vita di Michele è cambiata. Adesso lui fa una vita normale. Ha una terapia, ma sta benissimo… Gli hanno tolto il cortisone, è diventato magro, e adesso prende solo alcuni anti-immunitari per non ammalarsi, però sta bene. È stata quella sua preghiera. Anche per mia sorella, anni fa, pregammo tanto, ma si vede che il suo destino era segnato. A volte suonano il campanello i testimoni di Geova, e mi dicono che non devo venerare Maria, e neanche che devo credere ai sogni. Io li smentisco sempre. Un giorno ero seduta sul balcone, ero disperata, e pregavo per mia sorella con la Bibbia. A un certo punto ho visto dal cielo una figura che veniva verso di me… Hai presente la figura della Divina Misericordia? Mi sono incantata a guardare quella luce che mi veniva incontro. Dietro quel volto ho visto tre figure vestite di bianco, su una nuvoletta. Era d’estate, giugno, verso le due mezza tre.

È sicura di quello che dice?

Sì sì, erano le tre del pomeriggio. Era proprio il Cristo, la sua faccia come quella della Divina Misericordia… Tutta lucente. Anche un’altra mia sorella l’ha vista, da un’altra parte, lo stesso giorno, tornando dall’ospedale. Ho capito che Gesù mi stava vicino, anche se mia sorella non ce l’ha fatta. Ho capito che ci stava vicino nel dolore.

Sua sorella è morta.

E io credo lo stesso. Mia sorella è morta per l’inquinamento, veniamo dalla “Terra dei fuochi”. È l’uomo che ha inquinato la terra, non è colpa di Dio. La colpa è dell’uomo, ma Dio ci dà la forza della sopportazione e della rassegnazione.

Al Paradiso crede?

Sì, certo. E credo che mia sorella sia da qualche parte in Purgatorio, ora. Ho visto il sole che si avvicinava, il volto di Gesù.

Ha raccontato questa storia a Francesco?

Sì, ma non ci ha creduto, diceva che ero stressata. Non mi ha creduto nessuno, ma io sono sicura. Dio mi è testimone. Quel giorno ho pianto, ho pianto… Una luce col Suo viso dentro, e tre figure intorno che si muovevano. Allora dissi: «Credo, credo, credo con tutto il cuore!». È stato bellissimo…

Quando si è trasferita da Napoli a Modena?

Dieci anni fa, per raggiungere coi miei figli mio marito, che già da sette anni lavorava alla CNH. Siamo in quattro, un normale nucleo famigliare.

Quando Francesco ha cominciato a lavorare alla Spei, lei sapeva della spiritualità di Stefano?

No no. L’ho imparato col tempo. Sapevo solo che era molto disponibile con gli altri, soprattutto coi bambini. Francesco si trovò benissimo con Stefano, anche lui diceva che era una bravissima persona. Aveva cominciato a pregare, prima non diceva neanche il Padre nostro.

Francesco le raccontava qualcosa della Spei?

Certo, la presentava come una comunità. Diceva che Stefano, in silenzio, faceva anche dormire le persone a casa sua. Ha donato tanto di quello che ha.

Sapeva di assunzioni particolari?

Sì, Stefano assumeva gente anche dalla strada. Sapevo di un marocchino, Aziz, cui non faceva mancare niente. Era venuto a prendere un caffè da noi. Stefano ha provveduto a tutti i suoi bisogni materiali. Tutti quelli che passano dalla Spei hanno la luce negli occhi, una luce divina…

Francesco lavorò quasi tre anni alla Spei. Le raccontò di quando se ne andò?

Quando si licenziò per lavorare alla CNH, come madre, gli dissi di ricordarsi sempre di Stefano ed essere per lui sempre disponibile. Anche se oggi non si vedono, Francesco è sempre ancora molto affezionato a lui. Io l’ho sentito fino a tre mesi fa: per un paio d’anni ho fatto qualche pulizia nell’appartamento di Stefano e Francesca, sotto pagamento. Ho sempre dato la mia disponibilità per quanto possibile: davo una mano amichevolmente, quando ero libera dal lavoro – sono operatrice socio-sanitaria in una cooperativa, a part time. Ultimamente ho gli orari di lavoro spezzettati, quindi non riesco… Spero davvero che il Signore gli dia il doppio di tutto quello che ha dato.

Le piacerebbe tornare a Napoli?

No, Modena mi ha dato tanto. All’inizio ho sofferto molto a staccarmi dalla mia famiglia, che è molto numerosa – mamma, sorelle, sempre tutti assieme. In quel periodo iniziale di disagio i testimoni di Geova hanno provato a plagiarmi, e tuttora passano e ci provano ancora, ma so cosa rispondere e quello che ho visto. Modena ci ha dato il lavoro e tante cose… Solo mi farebbe piacere che qualche mia sorella si trasferisse qui. Ho trovato la mia pace, la mia tranquillità, faccio quel poco di lavoro che ho. A Napoli si muore solo a respirare l’aria e poi c’è una disoccupazione altissima, c’è delinquenza… Voglio continuare a stare qui. 

27/03/2015