«A luglio ero in vacanza in una baita sulle montagne dell’Austria: ogni giorno facevo prima una passeggiata, poi per almeno tre ore aprivo la partitura e la leggevo. Un lungo lavoro di preparazione che avviene nella mente».
Fa un certo effetto, parlando con un direttore d’orchestra, sentirgli dire che «ognuno di noi ha bene in mente qual è la sua missione su questa terra». Perché la parola «missione» la pensi adatta a chi ha scelto di andare a Idomeni o a Lesbo a dare una mano ai migranti che bussano alle porte dell’Europa. Forse meno a un uomo di spettacolo.
Poi senti Daniele Gatti parlare di Wagner e del suo Tristano e Isotta e capisci che forse, anche dal podio, si può portare un messaggio al nostro mondo. Perché per il direttore d’orchestra milanese quella di Wagner «è sì l’opera della passione, un inno all’amore. Ma Tristano è soprattutto l’opera del perdono».
«Tristano rimane un enigma, perché per quanto impegno ci si metta non lo si riesce a comprendere del tutto. Tristano non è solo l’opera della passione come spesso si pensa. Non è solo un inno all’amore come la storia potrebbe far pensare.È qualcosa di più.
Ci sono le regole medievali della cavalleria che ho approfondito su libri di storia. E mi sono chiesto perché Tristano a un certo punto rinunci ad Isotta: lo fa per il rispetto delle regole, perché il suo animo è nobile. E questa nobiltà la si sente chiaramente nella musica e nelle linee che Wagner sceglie per il cavaliere.
Il preludio costituisce l’antefatto della storia. Nella musica Wagner racconta quello che è successo in Irlanda tra i due, racconta l’amore. Poi, appena si alza il sipario e inizia il primo atto siamo già in piena tragedia perché per loro la vita è finita».
Diceva, però, che Tristanoè soprattutto l’opera del perdono.
«Quello che alla fine il re vorrebbe dare ai due amanti. Non riesce, però, perché muoiono. Questo mi fa dire che ognuno deve distillare perdono nella propria vita: dobbiamo riuscire a superare le offese e ad amare anche chi ci ha fatto del male. Penso che stiamo vivendo un tempo da dedicare al perdono, che non deve essere un cerotto sulle ferite che si vogliono tamponare per dimenticare il dolore. Il perdono deve essere un’esperienza che cambia la vita. Tristano ci racconta questo».
Oggi, però, sembrano odio e rancore a guidare i rapporti tra gli uomini, dalla chiusura delle frontiere agli attentati terroristici.
«Ero a Parigi il 13 novembre. E avevo concerti nei giorni successivi agli attentati. Abbiamo tenuto i teatri aperti per dire no a chi vuole seminare odio. La paura, certo, c’era, ma c’era anche la convinzione che occorreva dare segnali forti».
24 aprile 2016 – Avvenire.it – «Tristano, opera del perdono» PIERACHILLE DOLFINI