Nel libro “Ipotesi su Gesù”, Messori non cercava delle “analisi sulla società, sulla povertà materiale e sulle sue cause, sull’impegno politico e sociale dei cattolici, sull’applicazione delle scienze umane al cristianesimo”.
Lo scrittore convertito cercava risposte alle domande: “Che cosa c’è di vero in questa storia, in questo racconto, che da duemila anni riecheggia nel mondo? Gesù Cristo è davvero il figlio di Dio? È davvero lui il Messia atteso da Israele, annunciato dalle profezie? E, soprattutto, è davvero risorto?”.
Ma soprattutto, Messori cercava delle certezze sulla storicità di quell’uomo venuto al mondo in un villaggio sperduto dell’Impero romano che ha cambiato la storia dell’umanità con la rivoluzione dell’amore caritatevole.
Nel libro Messori racconta la sua conversione che era stata preceduta, da un fatto straordinario, una telefonata di uno zio materno morto giovane per un ictus cerebrale. Lo scrittore è persona razionale ed è certo di non aver sognato né di aver sofferto di allucinazioni.
Poi nel luglio e agosto del 1964, mentre lavorava come centralinista all’allora compagnia telefonica Stipel, trovò per caso una copia del Vangelo. Leggendolo avidamente accadde un fenomeno che Messori descrive come una “Luce esplosa all’improvviso”, un “incontro misterioso” quasi fisico con Gesù.
Il noto scrittore si descrive come un “emiliano terragno” con nessuna vocazione alla vita mistica e ascetica, eppure narra che in quei due mesi visse immerso “in una esperienza mistica” che non avrebbe mai immaginato, né conosciuto.
Una situazione di luce piena “con la chiarezza di aver visto la Verità, con tutta la sua forza ed evidenza”. Verità che “mi è stata mostrata senza che lo aspettassi o che lo meritassi”.
Nell’introduzione Tornielli precisa che Messori “ha scritto il libro che non trovava”.
Messori secondo Tornielli ha un solo, grande rammarico: “constatare ogni giorno che la ‘conversione della mente’ – che fu, ed è, totale – troppo spesso non si sia accompagnata alla ‘conversione del cuore’. E che, dunque, debba unirsi al lamento del ‘suo’ Blaise Pascal: ‘Quanta distanza c’è, in me cristiano, tra il pensiero e la vita!’”.