Francesco ha ventiquattro anni ed è perito elettronico. Emigrato da un quartiere “degradato” di Napoli nel 2003, arrivò a Modena con tutta la sua famiglia. Smise di andare a Messa e frequentare la parrocchia, ma non di pregare nel suo “modo molto personale”. Dopo l’esperienza Spei, ha continuato a lavorare come progettista meccanico.
Come sei arrivato alla Spei?
Per puro caso, mio fratello è amico del figlio di Stefano, andavano a scuola insieme. Appena diplomato, decisi di cercare un lavoro in attesa di valutare se iscrivermi o no all’università. Era il novembre del 2010. Un giorno, a casa mia, conobbi Stefano, venuto a riprendere il figlio. Mentre parlava con mia madre, mi invitò a vedere il suo ufficio. Il giorno stabilito non si fece vedere. Lo vidi per caso il mattino seguente, mi accompagnò in ufficio e tenni con lui un vero e proprio colloquio, pur molto strano: fece domande personali sulla mia vita, compresa quella spirituale. Dopo qualche mese di prova diventai dipendente. Lavorai alla Spei due anni e mezzo, fino al novembre del 2013, quando venni assunto da una ditta già nostra cliente [CNH].
Al colloquio, cosa ti chiese Stefano della tua vita spirituale?
Se ero credente, se frequentavo la Messa. Risposi come potrei rispondere oggi: il mio orientamento è quello del cristianesimo ma “vissuto personalmente”, cioè credo ma non frequento la Chiesa. Prego da solo, giorno per giorno, il pensiero di Dio c’è sempre: quando sento che è il momento di farlo, ovunque mi trovi, soprattutto se sono turbato da qualcosa. Con Dio ho un rapporto più profondo del semplice fatto di andare a Messa alla domenica, e poi dimenticarsi di essere cristiani gli altri giorni. Inoltre sono sicuro che Dio sia uno solo, e Cristianesimo e Islam solo due modi diversi di adorarlo. Non discrimino questi modi, sono per il “vivi e lascia vivere”. Per me, “Chiesa” significa “gruppo di persone che si fermano in un posto e pregano”, non l’istituzione.
E i Sacramenti?
Pregare con il cuore è più importante di sorbirsi un’ora e mezzo di testi scritti dall’uomo, “belli e pronti” da dire e da ridire. Andare a Messa è bello solo nel caso ci sia un bravo predicatore che interpreta bene i testi lasciandoteli gustare per tutta la settimana… Dio è presente in ogni posto, più per la strada o nella sua Parola che dentro ad un’ostia. Il Corpo di Cristo è l’uomo in mezzo alla strada che non sa più cosa fare e non ha più niente, che ha bisogno di aiuto: sta a noi aiutarlo o meno.
Non può essere Corpo di Cristo sia l’ostia sia il povero in mezzo alla strada?
No. E se sì un 80% nel povero e un 20% nell’Ostia consacrata [sorride, ndr].
Alle riunioni del giovedì pregavi?
Solo i primi sei mesi di Spei ho fatto vita d’ufficio: all’inizio per imparare al meglio il disegno meccanico, successivamente per fare alcuni lavori alla rete internet – il resto del tempo ho lavorato presso altre ditte, vedevo poco Stefano e i colleghi. In quel primo periodo partecipavo agli incontri del giovedì come tutti gli altri: erano belli, mi facevano molto bene. Quello della Spei è un gran bell’ambiente di lavoro, in cui viene considerata la persona nel suo rapporto con gli altri e con Dio. Una cosa più profonda, che non tutte le persone colgono – molti arrivano alla Spei e poi scappano. Si pregava anche di mattino, prima di cominciare col lavoro.
In cosa consisteva la preghiera?
Solitamente in un breve rosario, quello di Medjugorje: sette Ave Maria, sette Padre nostro e sette Gloria al Padre. Breve ma intenso. I primi tempi mi sembrava assurdo pregare in un ambiente di lavoro – pensavo bisognasse solo produrre – ma pian piano cominciai a coglierne il senso: la vita è una sola e non si può dividerla in un tempo di lavoro ed in uno, distinto, di preghiera. Entrambi i momenti devono convivere: lavoro e – più che preghiera in senso stretto – orientamento della vita verso l’aiuto del prossimo. Ciò non era soltanto predicato, ma messo in pratica: ho visto molte persone cambiare, in spirito o in comportamento – ad esempio qualcuno partiva da un atteggiamento iniziale di pretesa: lavoro e soldi, poi arrivava alla comprensione del messaggio Spei. Al primo posto la fede, poi il resto – la cosiddetta Provvidenza, come dice Stefano.
Anche tu sei cambiato?
Ho imparato a riconoscere i segni della Provvidenza, in più occasioni, anche molto personali. All’inizio mi dicevo che certe cose erano soltanto casualità – volevo vederla così. Poi ho iniziato a cambiare opinione… Per forza di cose ho “dovuto” credere anch’io.
Hai qualche esempio?
Un mattino ero in ufficio con Stefano. Dopo aver recitato con lui il rosario, mi raccontò della notizia di un’apparizione mariana a Medjugorje, avvenuta qualche tempo prima alla presenza di alcuni angeli – non ricordo di preciso di cosa si trattasse. Gli chiesi quanti angeli c’erano vicino a Maria, volevo saperne il numero, ma Stefano non sapeva rispondermi. Mi diede un libro, me lo fece aprire “a caso” e, leggendo tutta la pagina, trovai proprio l’informazione che stavo cercando. Non volevo crederci, pensai che Stefano mi stesse fregando. Sfogliai le altre pagine, per sincerarmi che tutto il libro non parlasse dello stesso argomento, o che ci fosse o meno una piega più marcata, un segnalibro… Niente, i capitoli parlavano dei più svariati argomenti, la prima pagina aperta non era stata marcata precedentemente: era proprio l’unica giusta per la mia ricerca. Stefano fece ovviamente la sua solita risatina, quella che significa <<…che ti dicevo?>>.
Vidi altri segni, anche più costanti e quotidiani. Ogni giorno, quando leggevamo il Vangelo o un altro passo della Bibbia, trovavamo la risposta a un problema specifico e attuale della Spei: per esempio, nel caso un cliente non stesse pagando, o nel caso si fosse presentata una persona in ufficio in cerca di lavoro, la lettura quotidiana suggeriva cosa fare e come comportarci, parlando sempre a proposito. Sembrano tutte cose strane da dire, e difficili da capire: non ne parlo con tutti, seleziono gli interlocutori. Una finezza che ho imparato durante il periodo Spei è proprio quella di capire con chi condividere questi segni, con chi poterne parlare e con chi no.
Il discrimine?
Riconoscere chi vuole davvero ascoltare da chi nutre secondi fini: lo si capisce dal tono di voce, dall’atteggiamento.
Hai avuto benefici dalla recita del rosario?
Nonostante il lavoro che stavo imparando mi divertisse, i primi sei mesi alla Spei, quando facevo vita d’ufficio, coincisero con un periodo personale di stress: avevo appena terminato una relazione importante con una ragazza, la più importante che abbia mai avuto – forse era davvero la persona giusta. In quella situazione, la fede mi aiutò molto: pregare per me era un calmante, una disintossicazione dalla quotidianità. Era benefico anche parlare con gli altri, ascoltarsi a vicenda: ho conosciuto un’altra forma d’amore. Anche in casa, alla sera, pregavo – lo facevo anche prima del periodo Spei, ma senza orari, senza preghiere “classiche” come i rosari di Medjugorje.
Hai continuato a pregare anche quando lavoravi presso ditte clienti?
Col tempo, da solo, sempre meno… Fino a quando arrivò l’agosto del 2012, un periodo brutto, in cui persi una zia per una grave malattia. Era ancora giovane, piena di vita, e v’ero molto attaccato, fin dall’infanzia. Fu un fatto che non riuscivo a spiegarmi. Reagii con rabbia, verso Dio ma soprattutto verso me stesso e il mondo intero. Senza accorgermene, ebbi un netto calo di fede. Le poche volte che pregavo, mi sembrava di stare a parlare con il muro.
Perché te la prendesti con te stesso?
Durante il periodo della malattia feci un voto a Dio: in cambio della guarigione di mia zia avrei smesso di fumare. Inutile dire che non ci riuscii, e che almeno una sigaretta al giorno continuavo ad accenderla, poi due, tre… Non rimasi fedele al mio impegno, e mia zia morì. Solo due giorni prima, un’altra mia zia – non ricordo più perché – mi parlò di quel passo della Bibbia in cui si ammonisce l’uomo a non promettere a Dio ciò che non si è in grado di mantenere. Non sapeva del mio voto, lo disse per caso. Sobbalzai, mi sentivo in colpa. Solo col tempo arrivai a scusarmi con Dio per non esser stato fedele.
Credi davvero che la colpa della sua morte sia tua?
No, sarebbe successo lo stesso. Comunque, da questa vicenda, ho ricevuto un insegnamento, e sono andato avanti. Ho continuato a pregare a mio modo, come facevo prima.
Come giudichi in toto l’esperienza Spei?
Mi sono trovato bene fino a quando c’era un capo – Stefano – che indirizzava il tutto. Nel periodo in cui dovette tornare a La Spezia per lavoro, toccò a noi dipendenti ragionare insieme su come avremmo potuto mandare avanti la ditta senza la presenza quotidiana di Stefano. Eravamo in disaccordo su tutto: in due ore di riunione parlammo solo di lavoro. Niente preghiera, niente fiducia nella Provvidenza: i più erano preoccupati che l’azienda potesse fallire, e che tutti perdessero il posto. Espressi il mio dissenso, ero molto deluso da quella paura diffusa che sembrava rinnegare tutto il messaggio Spei. In quello stesso periodo ricevetti un’offerta dalla ditta per cui lavoro tuttora: ci pensai molto, e finii per accettare.
Ti trovi bene?
Faccio lo stesso lavoro che facevo alla Spei, e ho sempre la madonnina davanti al mio computer. All’inizio i colleghi mi prendevano in giro, poi hanno iniziato a rispettarmi. Li sgridavo se li sentivo bestemmiare. Ho avuto molte esperienze bellissime, ho imparato molto.
25/08/2014