Uno schiaffo alla mondanita’

Cadere nella psicologia della sopravvivenza è come “aspettare la carrozza”, la carrozza funebre.

Aspettiamo che arrivi la carrozza e porti via il nostro istituto. E’ un pessimismo “spolverato” di speranza, non è da uomini e donne di fede, questo. Nella vita religiosa, “aspettare la carrozza” non è un atteggiamento evangelico: è un atteggiamento di sconfitta. E, mentre aspettiamo la carrozza, ci arrangiamo come possiamo e, per sicurezza, prendiamo dei soldi per essere sicuri. Questa psicologia della sopravvivenza porta a mancanza di povertà. A cercare la sicurezza nei soldi.

Si sente a volte: “Nel nostro istituto siamo vecchie – ho sentito da alcune suore, questo – siamo vecchie e non ci sono le vocazioni, ma abbiamo dei beni, per assicurarci la fine”. E questa è la strada più adatta per portarci alla morte. La sicurezza, nella vita consacrata, non la danno le vocazioni, non la dà l’abbondanza di soldi; la sicurezza viene da un’altra parte..

Sant’Ignazio chiamava la povertà “madre e muro” della vita religiosa; “madre” perché genera la vita religiosa, e “muro” perché la difende da ogni mondanità.

La psicologia della sopravvivenza ti porta a vivere mondanamente, con speranze mondane, non a metterti sulla strada della speranza divina, la speranza di Dio. I soldi sono davvero una rovina, per la vita consacrata.

Ma Dio è tanto buono, è tanto buono, perché quando un istituto di vita consacrata incomincia a incassare e incassare, il Signore è tanto buono che gli invia un economo o un’economa cattivo/a che fa crollare tutto, e questa è una grazia!

Quando crollano i beni di un istituto religioso, io dico: “Grazie, Signore!”, perché questi incominceranno ad andare sulla via della povertà e della vera speranza nei beni che ti dà il Signore: la vera speranza di fecondità che ti dà la strada del Signore.

Per favore, vi dico, sempre, sempre fate un esame di coscienza sulla povertà: la povertà personale, che non è soltanto andare a chiedere il permesso al superiore, alla superiora per fare una cosa, è più profonda, è una cosa più profonda ancora; e anche la povertà dell’istituto, perché lì c’è la [vera] sopravvivenza della vita consacrata, nel senso positivo, cioè lì sta la speranza vera che farà crescere la vita consacrata.

Poi c’è un’altra cosa. Il Signore ci visita tante volte con la scarsità dei mezzi: scarsità dei mezzi, scarsità di vocazioni, scarsità di possibilità… con una vera povertà, non solo la povertà del voto, ma anche la povertà reale. E la mancanza di vocazioni è una povertà ben reale! In queste situazioni è importante parlare con il Signore: perché le cose sono così? cosa succede nel mio istituto? perché le cose finiscono così? perché manca quella fecondità? perché i giovani non si sentono entusiasti, non sentono l’entusiasmo per il mio carisma, per il carisma del mio istituto? perché l’istituto ha perso la capacità di convocare, di chiamare?

Fare un vero esame di coscienza sulla realtà, e dire tutta la verità. Questo vale anche per i diocesani, e anche per i laici, ma io lo direi per i religiosi: io vi chiedo, fatemi un favore, vi chiedo di meditare gli ultimi tre numeri della Evangelii nuntiandi, quel documento pastorale post-sinodale che ancora è attuale, non è passato, no!, ha la sua forza, quando il Beato Paolo VI parla dell'”identikit dell’evangelizzatore”, come lo vuole, e lì fare l’esame di coscienza: “io e il mio istituto, facciamo questo?”. O, come dice Paolo VI, è un istituto triste, amareggiato, che non sa cosa fare?… Meditate quei numeri che aiuteranno a fare l’esame di coscienza su questa psicologia della sopravvivenza. Ma il nocciolo del problema cercatelo sempre nella povertà: come vivere la povertà.

Scendere, come Gesù, alla sua carne sofferente, ai più deboli, agli ammalati, a tutti quelli che dice Matteo 25. Questo ha come orizzonte non il cimitero, ha un orizzonte fecondo. Questo è seminare, e la crescita del seme la dà il Signore. Per questo dico queste due cose: la povertà e l’atteggiamento verso la carne dolente di Cristo. Con sincerità. Senza ideologie. Grazie.

Mi dicono che siamo in ritardo e che dobbiamo congedarci. Vi ringrazio tanto della vostra presenza. Vi ringrazio della testimonianza. E ai religiosi vorrei dire una cosa, perché ho parlato di meno ai religiosi che ai diocesani: la vita consacrata è uno schiaffo alla mondanità spirituale! Andate avanti!